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MAKING MOVIESAL CINEMA
06/03/2018
Steven Spielberg
Munich
Il regista non andrà a sottolineare solo l’inadeguatezza della diplomazia, la responsabilità che gli americani hanno nella questione Medio orientale ma, con grande coraggio, andrà a mostrare come l’attentato compiuto l’11 settembre non è altro che il frutto di una spirale di violenza di cui gli stessi americani hanno una buona parte di responsabilità
di Maria Giovanna Fantasia

Monaco, sede delle Olimpiadi del 1972. Sono le prime ore del 5 settembre e un gruppo di palestinesi, dall'aria sospetta, con indosso tute sportive e borsoni in mano, scavalca un'alta staccionata che circonda il villaggio olimpico. Il gruppo si ferma nel giardino e si cambia i vestiti, togliendosi quello che, effettivamente, era un travestimento per eludere la sorveglianza del centro olimpico. Una volta penetrati all’interno di un edificio, armati di mitra, gli arabi sfondano la porta delle residenze in cui dormono 11 atleti israeliani. Questi ultimi vengono aggrediti, 2 vengono uccisi subito e gli altri 9 presi in ostaggio.

L'attenzione globale di radio e televisione segue quello che si può definire il primo assalto terroristico dell'era mediatica. Si scopre che è stato compiuto dall'organizzazione palestinese chiamata Settembre Nero, come rivalsa su Israele. Tutto il mondo rimane incollato davanti al proprio televisore con il fiato sospeso per sapere quale sarà il destino degli ostaggi. Purtroppo, la fine sarà tragica: neanche 24 ore dopo il rapimento i 9 ostaggi rimarranno uccisi ma anche i 5 terroristi e due agenti della polizia tedesca. Appresa la notizia dal primo ministro Israeliano Golda Meir, questa decide di vendicare gli ebrei assassinati in terra tedesca come si faceva ai tempi della Shoah e, infatti, riunisce le più alte cariche militari e dello stato, tra cui i maggiori vertici del Mossad, per dare inizio ad una missione che avrà come nome in codice “Operazione Ira di Dio”.  Viene posta in essere una squadra composta da un riluttante ufficiale del Mossad, Avner Kaufmann (interpretato da Eric Bana) che detiene il comando. Il resto del gruppo sarà formato da Steve (Daniel Craig), Carl (Ciarán Hinds), Robert (Mathieu Kassovitz) e Hans (Hanns Zischler). Non dimentichiamo anche che fa parte del cast un magistrale Geoffrey Rush che interpreta Ephraim, l’unico referente del Mossad per l’intera squadra.

Il comando avrà come compito principale quello di scovare e uccidere 11 alti esponenti del terrorismo palestinese che si trovano sparsi in Europa e nel Vicino Oriente e ritenuti responsabili dell’attentato a Monaco. Ciò che non viene calcolato sarà l’intervento della CIA e del KGB che reagiranno contro il Mossad e, in particolare, contro questa squadra di uomini.

Il film non vuole essere un inno alla rappresaglia, ma come dirà lo stesso regista, cerca di spiegare come ogni rappresaglia ne inneschi un’altra brutale dove si perde il senso dell’etica in una scia di sangue senza fine. Infatti, le azioni del Mossad, a causa della loro efferatezza, verranno giudicate negativamente anche dalle stesse famiglie degli atleti uccisi. Lo stesso Avner, una volta rientrato in patria, inizia a sospettare che l’attento di Monaco non abbia niente a che fare con la loro missione ma che, sia lui che i suoi uomini, siano stati utilizzati come pedini in un gioco fra più fazioni.

Il film lascia tante porte aperte a diverse riflessioni e c’è una scena che colpisce in particolare. Avner si ritrova parlare con un palestinese che non sa che lui è un israeliano e la conversazione riguarda la patria. Il palestinese cerca di fare capire che per tutti noi è facile parlare di nazione, di senso di appartenenza a qualcosa, ad un territorio abitato dal proprio popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni. Lui si sente svuotato di tutto ciò perché la sua patria gli è stata portata via. Si sente un outsider perché il suo popolo non è fra i probabili vincitori nella battaglia contro i palestinesi. Ma, in realtà, credo che la maggior parte di noi se lo chieda, c’è realmente un favorito? Tra i due si può, per un attimo, sentire che vi è empatia ma, andando avanti con la discussione, emergerà una totale e profonda inconciliabilità di vedute anche se la ragione o il torto vengono distribuiti in maniera equa tra le due parti. Le radici del conflitto israelo palestinese risalgono alla nascita del sionismo e del nazionalismo palestinese, ma non è questa la sede per parlare di un argomento tanto complesso, dopo tutto non è l’intento del regista. Infatti Spielberg, che ricordiamo è un regista di origini ebraiche, abbandona ogni tipo di retorica e decide di girare un film che alla fine dei conti renderà scontenti tutti: Israele, gli arabi e i palestinesi e gli stessi Stati Uniti che hanno saputo cogliere la durissima accusa che riguardava la loro politica estera di quei tempi.

Il regista non andrà a sottolineare solo l’inadeguatezza della diplomazia, la responsabilità che gli americani hanno nella questione Medio orientale ma, con grande coraggio, andrà a mostrare come l’attentato compiuto l’11 settembre non è altro che il frutto di una spirale di violenza di cui gli stessi americani hanno una buona parte di responsabilità e che le azioni che verranno prese dal governo Bush fanno la stessa fine dell’operazione “Ira di Dio”.  Gli stati Uniti vengono tirati in ballo solo in alcuni ben precisi e studiati momenti durante la narrazione filmica ma che basteranno per sottolineare le loro colpe e mancanze.

Come viene sottolineato nel film, ogni volta che si ammazza un terrorista vi è un altro di loro pronto a sostituirlo. Questo ci deve fare capire che i cambiamenti devono essere di natura strutturale altrimenti la violenza e i conflitti continueranno a riprodursi proprio come accadeva alle teste del mostro greco Idra: una volta mozzata, questa ricresceva.

Possiamo condividere o no il punto di vista del regista che conferma ancora una volta il suo grande talento cinematografico e, a mio avviso, con la sua solita maestria fa riflettere chiunque su un tema di enorme importanza senza cadere in banali conclusioni ma utilizzando la sua spietatezza politica che lo contraddistingue.

Il film vuole anche farci da monito a ciò che realmente dovrebbe essere il reale senso di giustizia che non dovrebbe essere tradito per un fanatico ideale politico che ci distoglie da un amore puro come quello che proviamo verso la nostra famiglia e i nostri cari. Infatti, è ciò di cui si rende conto il protagonista, Avner, una volta ricongiuntosi con la sua famiglia a New York e che cerca di farlo capire persino ad un sionista convinto come Ephraim mentre alle loro spalle si intravede lo skyline di Manhattan. La prima inquadratura va verso il palazzo di vetro dell’ONU e poi vengono inquadrate le torri gemelle, riscostruite grazie ad un artificio grafico, regalandoci in questo modo una ulteriore sfumatura di simbolismo.

Vi lascio con qualche curiosità degna di nota sia sulla sceneggiatura del film, che è stata adattata dal vincitore del Premio Pulitzer Tony Kushner, insieme a Eric Roth, dal libro-inchiesta Vendetta (Vengeance: The True Story of an Israeli Counter-Terrorist Team) del giornalista canadese George Jonas, sia sulle location: il film è ambientato in almeno otto nazioni o città diverse (Monaco di Baviera, Israele, Francia, Roma, Cipro, Beirut, Atene e Paesi Bassi, oltre al finale negli Stati Uniti) ma, in realtà, gli esterni sono stati girati quasi esclusivamente in Ungheria e a Malta.