“Non ho paura d'un pericolo: se un uomo entrasse qui dentro lo ucciderei senza fremere. Non ho paura dei fantasmi; non credo al sovrannaturale. [...] Ebbene ho paura di me stesso, paura della paura; paura degli spasmi del mio spirito che si smarrisce, paura di questa orribile sensazione del terrore incomprensibile”.
Guy de Maupassant, "Lui?", Racconti fantastici
Quella raccontata da Guy de Maupassant in “Lui?” e “L’Horla”, ma narrata magistralmente anche da molti altri autori del fantastico di matrice oscura di fine Ottocento, è una paura molto particolare, raccontata sottovoce nel folclore e nell’esoterismo e studiata in psicoanalisi: quella del doppelgänger.
Doppelgänger è una parola tedesca che letteralmente si potrebbe tradurre come "doppio viandante" e che esprime quello che definiremmo un “doppio” o un “sosia”, “qualcuno che si pensa possa mostrarsi in due luoghi diversi allo stesso tempo”. È un'accezione spesso usata per descrivere una sorta di gemello maligno o un duplicato di una persona vivente, una sensazione che nella psicanalisi freudiana è assimilabile al concetto del perturbante: quel particolare tipo di paura che si sviluppa quando una cosa, una persona, un'impressione, un fatto o una situazione viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo, generando una generica angoscia unita a una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità.
Matt Shultz, frontman dei Cage The Elephant, la sa lunga a riguardo, essendo stato in preda a psicosi per ben tre anni a seguito della reazione avversa e degli effetti collaterali causati dalla prescrizione di un farmaco. Quelle stesse pillole che era convinto l’avrebbero guarito lo hanno invece fatto lentamente scivolare in una psicosi fatta di disturbi, deliri e allucinazioni, oltre che di paranoia continua sull’essere inseguito o avvelenato, tanto da portarlo ad un arresto per possesso di armi da fuoco, autorizzate solo in Kentucky (in cui abita) e Tennessee, ma che senza rendersene conto aveva portato a New York nell’hotel dov’era alloggiato.
Grazie all’arresto, che lo stesso Shultz ritiene gli abbia salvato la vita, il tribunale si è reso conto dei deliri psicotici dell’artista e, dopo otto mesi di trattamento (due di ricovero e sei di terapia ambulatoriale), Matt è tornato alla sua vita; grazie anche al sostegno di suo fratello, della band e di sua moglie, si ritiene miracolosamente uscito dal tunnel, per quanto con cicatrici emotive che si porterà dietro a lungo.
Il colorato Neon Pill è quindi intrinsecamente legato al percorso personale di Matt Shultz, sia nei suoni, che qui troviamo meno cupi e persecutori rispetto al precedente Social Cues del 2019 (e ora capiamo perché) e più colorati e intimi, sia nei testi. La maggior parte di questi, difatti, sono stati scritti da Matt negli ultimi tre anni, quando era ancora in preda ai deliri psicotici che erano diventati la sua vita, quindi, una volta uscito dal tunnel “della pillola al neon”, si è ritrovato a non avere idea di cosa avesse scritto e perché, come se fossero frutto della penna, della vita e delle credenze di una sorta di oscuro sosia, un doppelgänger che viveva in un mondo che ora non riesce più a distinguere.
Una sensazione di straniamento da sé stesso che ancora oggi gli pone delle domande su alcune delle sue scelte liriche, come dichiara in un’intervista a NME: "Questi testi avevano un significato completamente profondo per me, ma erano totalmente basati su una realtà che non era la realtà. Quindi tornare indietro e cercare di dargli un senso è stato davvero affascinante. Ho dovuto iniziare a cercare il sentimento che stavo raggiungendo e non tanto quello che credevo stesse accadendo o di cui parlavano le canzoni. Avevo scritto molti testi in codice".
La riacquisizione del senso del sé è una conquista divenuta poi con i suoi compagni di band anche sonora, poiché Neon Pill mescola il rock e l’alternative che li ha resi famosi agli elementi indie pop più recenti, realizzando un disco che la band del Kentucky definisce “non influenzato”, da nulla in particolare se non quello che sentivano fosse giusto per giungere alla loro unità esistenziale più semplice e pulita. Quasi un nuovo inizio, che fa pace con il passato recente e rinizia dalle basi fondamentali per potersi lasciare dinnanzi le praterie di una nuova e conquistata libertà.
Con 12 brani per circa 38 minuti, i fratelli Shultz miscelano sapientemente ritornelli allegri e ballate malinconiche, influenze pop e anima rock, groove old school e canzoni che sono pronte a far scendere una lacrimuccia. Dal luminoso inizio pastello di "HiFi (True Light)", che porta una freschezza prima impensata, al groove di “Rainbow”, che regala testi come “Le luci si spengono e mi ritrovo di nuovo in quel corridoio, a fare a boxe con l’ombra della vergogna e dei giochi mentali auto-inflitti [...] Ho paura di perdere o ho più paura di perdere la mia strada?”.
Dalle stupende “Metaverse” e “Good Time” all’emozione di “Out Loud”, che parla all’esperienza di Matt ma è in realtà dedicata al padre, mancato durante la pandemia, il quale aveva raccontato tempo prima ai due fratelli un episodio della sua giovinezza, quando da ventenne aveva litigato furiosamente con suo padre (il nonno dei fratelli Shultz) tanto da fare l’autostop fino in Florida e viverci per un anno senza rivolgergli la parola. Mesi e molte solitudini dopo scrisse al padre una canzone per scusarsi, tornò in autostop in Kentucky e, prima ancora di rivolgergli la parola, gli suonò la canzone. Ed è così che, ritornando con la memoria a quell’episodio e unendolo alle sue esperienze recenti, Matt scrive frasi come “ho fatto un gran casino. Ho troppa paura di dirlo ad alta voce. Riesco a malapena a respirare, chi sto cercando di essere? Sto ancora cercando di capirlo. Sono troppo orgoglioso per dirlo ad alta voce?”.
Un saliscendi di eleganti pennellate che terminano non a caso con “Over Your Shoulder”, una ballata di speranza, che parla dell’importanza di andare avanti e di non fissarsi sulle cose della vita che possono buttarci giù, poiché anche quelle passeranno.
Un viaggio lieve e denso al tempo stesso, quello di Neon Pill, tra acquerelli e sfumature di ombre ancora persistenti, passi di ballo accennati e lacrime sfuggenti, pillole maledette, strade al neon, orizzonti da godersi dinnanzi e semplicità quotidiane da riscoprire con un brivido d’affetto, perché nulla diventa più prezioso di quello che credevi solido e invece stavi per perdere.