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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
21/09/2020
The Vapors
New Clear Days
«Uh! Quelli di “Turning Japanese”!» Sì, sono proprio loro. Ma no, non sono solo questo. New Clear Days è una delle perle più sottovalutate del 1980.

Nella storia della musica, le band famose per una sola canzone non mancano mai. Per alcune è stata una notorietà beffarda, che ha regalato ricchezza e successo con una traccia e poi l’oblio, mentre per altre la fama è stata ancora più subdola: una sola canzone, conosciuta quasi solo a chi bazzica certi territori musicali, e poi il buio.

Il caso dei Vapors è molto più simile alla seconda categoria citata. Non siamo di fronte a chi ha fatto ballare una generazione con un brano, ma dinnanzi a degli artisti che, se nominati agli amanti del punk inglese e della new wave, genereranno in questi una frase del tipo “Ah Si! Quelli di “Turning Japanese”!”. Già.

I Vapors si sono formati a Guildford, una cittadina della contea del Surrey, a sud ovest di Londra, nel 1978. Quattro i componenti storici: David Fenton (voce, chitarra ritmica), Howard Smith (batteria), Edward Bazalgette (chitarra solista) e Steve Smith (basso), notati mentre suonavano in un pub della zona dal bassista dei Jam, Bruce Foxton. Lo stesso Foxton, apprezzato il sound dei giovani artisti, offrì loro alcuni concerti e gestì assieme a John Weller (padre di Paul Weller) i loro live. Nel 1979, poco dopo la loro formazione, i Vapors si ritrovarono a supportare i Jam nel loro tour di Setting Sons (1979).

La band firmò con la United Artists, pubblicando il loro primo singolo, "Prisoners", alla fine del 1979, ma il successo arrivò solo con il secondo singolo “Turning Japanese”. La canzone raggiunse il terzo posto nella UK Singles Chart del 1980, il primo posto nella classifica australiana e il trentaseiesimo nella Billboard Hot 100 americana. In seguito, la pubblicazione di due soli album: New Clear Days (1980) e Magnets (1981). Quest’ultimo, però, fece delle vendite molto deludenti e, abbandonati dalla casa discografica, i Vapors si sciolsero nel 1982.

Dopo lo scioglimento, David Fenton si dedicò all’avvocatura, specializzandosi sugli aspetti legali dell'industria musicali, mentre Edward Bazalgette divenne un regista televisivo. Howard Smith diresse per diversi anni un negozio di dischi indipendente, il People Records, a Guildford, città natale della band, e Steve Smith formò la band Shoot! Dispute, muovendosi su sonorità più pop-funk.

La storia avrebbe potuto anche finire qui ma, 34 anni dopo, David Fenton, Ed Bazelgette e Steve Smith riapparvero sul palco della Half Moon a Putney, il 30 aprile 2016. Rifecero qualche data e tornarono a divertirsi insieme tanto che nel maggio 2020 diedero alle stampe un nuovo album, Together, il primo dopo 39 anni: uno dei divari più lunghi tra gli album in studio.

In questa cornice di alterne fortune e ordinari accadimenti, i Vapors hanno però avuto modo di pubblicare un piccolo gioiello: il loro primo album, New Clear Days. 11 tracce per 40 minuti di miscela new wave e power pop, con una spruzzata di punk e – sì, esatto – una bella attenzione ai contenuti.

Ciò che rende New Clear Days un grande disco, infatti, non è solo l’orecchiabilità o la bella produzione di Vic Coppersmith-Heaven (The Jam, Paul Weller), ma la grande attenzione ai testi e ai temi, elaborati dalle sapienti mani di David Fenton.

Le melodie sono pulite, ben costruite e facilmente accessibili, perfette per gli amanti della new wave inglese, e nascondono tra le note testi ironici, ambigui, che spesso portano con sé un serpeggiante e poco celato disagio sociale e politico. Siamo nel 1980 e i Vapors si rivelano, in questo senso, perfetti figli del loro tempo: sensibili, come molti dei giovani e dei punk dell’epoca, alla minaccia nucleare che si fa imminente, persiste negli animi e nutre un malessere crescente, alimentato da un lato dalla Guerra Fredda che contrappone est e ovest del mondo e dall’altro dalle politiche thatcheriane sul suolo della corona inglese. Tutto questo si riassume già dalla cover dell’album, che vede uno schermo televisivo sgranato in cui un meteorologo della BBC mostra delle previsioni del tempo molto particolari: nubi sparse e un fungo nucleare su Londra, in un Regno Unito costellato da simboli radioattivi, che oramai hanno sostituito quelli della temperatura.

A fianco a canzoni più leggere come “Spring Collection”, “Turning Japanese”, “Waiting For The Weekend” o “Somehow”, in cui ci sono semplicemente delle variazioni sui classici temi ragazze/relazioni con un bel sottofondo melodico, troviamo sia pezzi da novanta di tutt’altra densità nei contenuti, sia canzoni come “Bunkers” (probabilmente una delle più belle del disco) che a testi socialmente impegnati abbina anche sonorità e arrangiamenti che sembrano usciti da uno dei primi album dei Clash.

Non fatevi ingannare dall’apparenza innocua e power pop delle tracce, canzoni come “Cold War” nascondono testi come: «Piccoli cani bianchi in nero e catene, urlando indignazione ai tuoi giochi d’alta società fino a che le luci non si spengono, chiudi gli occhi e torna a casa, stretto nei tuoi jeans di pelle, lapidando sacerdoti e vergini perché troppo puliti per la tua nuova macchina. Hai giocato a sinistra per la rivoluzione, hai sovrastimato le soluzioni rapide, ma ci arriverai presto, preparati ad un’altra Guerra Fredda».

In “News at Ten” il divario generazionale tra genitori e figli è trattato in modo cinico e diretto, attraverso la voce di un figlio che disprezza il conformismo del padre e lo combatte con frasi dure, temendo al tempo stesso di finire come lui.

«Voglio combattere le guerre e voglio morire giovane, quindi non continuare a dire "Come padre, così il figlio!". Non riesco a sentirti. Non hai senso per me. Quando verrà il momento, non sarò d'accordo, non sarò d'accordo con la tua politica».

Inoltre, pochi gruppi pop o new wave, all’epoca, hanno parlato di alcuni delicati aspetti della guerra come hanno fatto i Vapors. In “Sixty Second Interval”, ad esempio, si fa riferimento ai brevi cessate il fuoco concordati tra gli eserciti per consentire a ciascuno di occuparsi dei loro feriti nella terra di nessuno che li separava; mentre in “Letter from Hiro” (la lunga chiusa dell’album da oltre sei minuti, con tanto di conclusione su una melodia tradizionale giapponese eseguita al cimbalom) si descrive il senso di impotenza che un ragazzo prova nel vedere che gli eventi della seconda guerra mondiale porteranno alla fine della sua amicizia di penna con un ragazzo giapponese più patriottico, che sceglierà la bandiera a lui.

New Clear Days è tutto questo. È forma e sostanza. Figlio del suo tempo e al tempo stesso frutto imperituro, che anche se gustato oggi non tradisce il suo valore.

A conti fatti, quindi, che dite? I Vapors sono ancora “solo” la band di “Turning Japanese”?

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