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REVIEWSLE RECENSIONI
05/04/2018
Ben Harper & Charlie Musselwhite
No Mercy In This Land
Non c’è solo l’entusiasmo palpabile che animava il primo capitolo, ma, soprattutto, e questo è il dato degno di nota, una consapevolezza decisamente superiore. Ciò che prima sembrava il risultato di un amalgama un po’ forzato, ora funziona alla perfezione

Riassunto delle puntate precedenti. E’ il 2012, quando Ben Harper, reduce dal discreto successo di Give Till It’s Gone (2011), e Charlie Musselwhite, leggendaria armonica blues, già al servizio del meglio del meglio che possiate immaginare (da John Lee Hooker ai Canned Heat), concretizzano la stima reciproca lavorando a una scaletta di brani, che confluiranno l’anno successivo su Get Up!

Il disco, nonostante la vittoria di un Grammy Award e qualche discreta canzone, suonava però come il risultato di una collaborazione (apparentemente) estemporanea e palesava più di un difetto dovuto alla scarsa amalgama fra i due. I quali, artisticamente attratti l’uno dall’altro, dopo aver levigato il suono anche in numerose apparizioni dal vivo, hanno deciso ora di tornare a ripetere l’esperimento.

No Mercy In This Land è più o meno la fotocopia del precedente capitolo, ma suonata decisamente meglio e con un lotto di composizioni di livello superiore. Harper, ormai, si sente libero di fare tutto quello che vuole, anche di accantonare l’inclinazione al rock e lo sguardo alle classifiche, complice anche la maturità dei suoi (quasi) cinquant’anni; e poi, suonare a fianco di un’autentica leggenda, rappresenta un ulteriore attestato di nobiltà in un curriculum già di tutto rispetto. Per quanto riguarda Musselwhite, giunto alla veneranda età di settantaquattro anni, l’idea di suonare la musica che ama in un contesto decisamente più mainstream, dev’essere stata una bella dose di Gerovital. E si sente.

Non c’è, però, solo l’entusiasmo palpabile che animava il primo capitolo, ma, soprattutto, e questo è il dato degno di nota, una consapevolezza decisamente superiore. Ciò che prima sembrava il risultato di un amalgama un po’ forzato, ora funziona alla perfezione: grande band alle spalle (Jimmy Paxson alla batteria, Jesse Ingalls al basso e Jason Mozersky alla chitarra elettrica) e i due che interpretano, gagliardi e in scioltezza, un repertorio di canzoni originali dal sapore blues classico.

Un disco breve (dieci canzoni per trentacinque minuti di durata), ma ricco di splendidi momenti, a partire dalla potente When I Go, che apre il disco dando le coordinate di ciò che, più o meno, si ascolterà da lì in avanti. A differenza del predecessore, non ci sono filler, e canzoni come la scorbutica e chicagoana Bad Habits (prova stratosferica di Musselwhite all’armonica), la trascinante The Bottle Wins Again o la povertà francescana di cui si veste la scarna e sudista Trust You To Dig My Love, sono alcune delle miglior cose scritte da Harper negli ultimi anni.

Eppure, gli high lights arrivano con When Love Is Not Enough e con la conclusiva Nothing At All, due ballads superbe, che si differenziano dal mood prevalente dell’album perché pervase da una struggente malinconia soul. Vertici, entrambe, di un disco di altissimo livello, in cui la rivitalizzata linfa creativa di Harper si mesce alla perfezione con l’esperienza e il pathos acuminato della straordinaria armonica di Musselwhite. Per puristi, ma non solo.