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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/11/2017
New York City e il suo bel fantasma
Non andarci da adulti, ma solo tornarci
Curioso il destino della Nuova Amsterdam: dal suo fallimento o quasi alla sua rinascita fin troppo ordinata e pulita (tranne certe stazioni e tunnel della metropolitana, quelli impossibili da bonificare), con un prezzo da pagare molto alto. Cioè con l’eliminazione di pezzi della sua cronaca che stava diventando storia.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Questo è il quarto post (ma è anche quasi il quinto) che dedico a New York. Le angolazioni mi risultano facili non appena qualcosa me le richiama.

West Side Story oggi non dice molto, nemmeno il tetto con le gabbie dei piccioni di On The Waterfront. Eppure sono film marcatamente newyorkesi, sebbene il secondo sia girato in New Jersey.

Probabilmente anche certe pose di Truman Capote, la terza fatica di Bret Easton Ellis o quel gioiellino di apparente leggerezza che è Fabulous Nobodies di Lee Tulloch non riescono più a dare quel gusto della “città che non dorme mai” che essi hanno invece in sé.

E pensare che queste righe nascono dai documentari presenti nel secondo DVD di Taxi Driver in un’edizione commemorativa fuori moda (sic!), esso ormai film che è anche un evidente omaggio alla metropoli sulle rive dello Hudson, la quale, per certi aspetti, è diventata tutt’altro, un tutt’altro che è spesso “poco” e “niente più”. Cioè novità assolutamente dimenticabili.

Pensavo che l’arrivo in Gotham City dall’aeroporto era di grande impatto molti anni fa, ma che arrivarci da Newark come spesso accade (leggi: un turismo sempre più feroce e di massa) spegne molto fascino, mentre la linea d’orizzonte di Manhattan che appare venendo dal JFK o dal Laguardia un poco taglia ancora[1] il fiato all’ennesima vista.

I taxi, da tempo, non sono più quelle mezze scommesse gialle con le righe a scacchi bianconere, talvolta senza aria condizionata e però sempre con quelle “partition” di metallo e plexiglass spesso un centimetro abbondante che ti mettevano in guardia ancora intorno all’inizio della decade Ottanta.

Siamo dunque al fantasma di una certa città, con Times Square pedonalizzata per fine 2015, tanto per esemplificare, mentre per tutti era comunque un lento ingorgo veicolare, e il chiosco di arruolamento nel US Marines Corp.

Altre cose le si dava per scontate: dunque, improvvidamente, non ho mai comprato una sceneggiatura di film, con la copertina di un qualche colore fluorescente, venduta su un banchetto lungo la Broadway verso la NYU. Le ho viste per anni, poi sono sparite e della loro sparizione ci si accorge troppo tardi.

Curioso il destino della Nuova Amsterdam: dal suo fallimento o quasi alla sua rinascita fin troppo ordinata e pulita (tranne certe stazioni e tunnel della metropolitana, quelli impossibili da bonificare), con un prezzo da pagare molto alto. Cioè con l’eliminazione di pezzi della sua cronaca che stava diventando storia.

Ha un senso andare a New York? Probabilmente non ha senso se si hanno cinquant’anni o anche solo quaranta: a cercare ciò che non c’è più, o che non è più, vuol dire essere passatisti. Solo chi ci è già stato può tornarci, e magari collezionare qualche altra delusione.

Per chi ne ha venti forse è diverso, ma con l’avvertenza che molto di quello che vi propongono non è nemmeno una replica ma una ricostruzione[2].

Se si va oggi, soprattutto a 40 (o più) anni, a Gotham City per la prima volta si rischia di cercare il niente: cosa vedrete agli angoli “up To Lexington, 125” oppure “53rd and 3rd”? Era già inutile percorrere Mercer Street (Manhattan) nel 1980.

A tutto il resto, aggiungo due film, utili o meno: After Hours (quasi un nomen omen, direi) di Martin Scorsese e Alphabet City di Amos Poe.

[1] Il problema è il poco.

[2] Quale il significato di mangiare – specifico mangiare: tutti quelli che vanno per il solo merchandising sono dei “vorrei non posso” – al locale Hard Rock Café? Nessuna, eppure quello sulla 57th West Street, al civico 221, fu il secondo dopo l’originale londinese ad aprire.