Dopo Lovesick con Lil Busso, Tredici Pietro (parafrasando il suo esordio con “Pizza e fichi”) mette fuori la testa dal buco con il suo primo disco da solista, mostrando una maturità artistica che gli permette di decostruirsi, come in un gioco pirandelliano di specchi e identità molteplici e sfaccettate. Il rapper bolognese esplora delusioni, dipendenze, alienazione e speranze infrante mentre si proietta verso un futuro carico di ansia, successo e nuove possibilità. In questo percorso di metamorfosi, non si può non notare l’eco di Mac Miller, riferimento dichiarato dallo stesso artista, per la contaminazione fra rap e sonorità morbide e riflessive, che creano uno spazio di vulnerabilità e introspezione. Pietro sembra oggi più interessato a scavare che a colpire, a cercare una voce interiore piuttosto che farsi definire da un’identità imposta.
Dalle produzioni di Sedd, Fudasca e i Galeffi Bros, rintanati in un casale in Umbria per intrecciare le rispettive visioni sonore, sono emerse tredici tracce: episodi che non vivono da soli, ma si rincorrono e si rifrangono a vicenda, frammenti di un’identità composita. Ogni brano è una maschera che cade con la spontaneità di chi si svela mentre cambia. Il disco si costruisce per accumulo e sottrazione, tra posture che si incrinano e momenti di autentico disarmo, componendo un mosaico in continua trasformazione. A fare da collante narrativo al progetto sono skit visionari e stranianti, tratti dalle riflessioni di una figura emblematica della Bologna dei bar: frammenti che si intrecciano con ogni traccia, restituendo un’atmosfera cinematica e coerente. Il progetto si distingue per una scrittura lirica e profondamente introspettiva, capace di sondare le pieghe più intime dell’anima, sorretta da una poliedricità sonora che spazia con disinvoltura dalla trap al rap old school, dall’acustico al neo-soul, fino al conscious hip hop.
Il disco prende il via con la titletrack “Non guardare giù”: un’esortazione a resistere allo sconforto, alla depressione, alla caduta, a non cedere al vuoto anche quando la vertigine ci sfiora. Potente metafora della fragilità umana e della lotta contro il peso schiacciante dell’esistenza e dell’identità, il brano si muove su coordinate trap melodiche, con una forte componente dark che amplifica i temi lirici di disagio, spaesamento e ambivalenza emotiva, in un’introspezione che richiama per densità e tono quella di Marracash: "Qui nessuno guarda su, siamo tutti un poco giù. Se vuoi arrivare su, ora non guardare."
L'artista è chiamato simbolicamente a "morire" (seconda traccia) per rinascere e ricostruire la propria essenza. La tematica nichilista del brano emerge fin dal campione iniziale, tratto da “Passacaglia della vita” nella versione dei Birds on a Wire, una canzone popolare seicentesca che fu ripresa anche da Battiato in “Passacaglia”. Su un beat minimale, cupo e ipnotico, Pietro si espone senza filtri, affrontando la depressione, le dipendenze e le inquietudini di una Milano grigia che sembra inghiottirlo, mentre riflette sull'immobilismo sociale che ci imprigiona e sulle possibilità di risalire, anche nei momenti più bui:
“Tutto il tempo su quelle panchine
Incertezze mi hanno fatto fallire
Insicurezze mi hanno fatto fumare
E prendere discese che poi sono risalite”
Con “LikethisLikethat”, il quarto brano, Tredici Pietro ci invita a imbucarci con lui a un festino in casa (“quaranta cristiani dentro a un bilocale”) dove si abbandona a un beat catchy dall’impronta trap costruito su sonorità essenziali, sintetizzatori ossessivi e bassi profondi. “Tempesta” (la quinta traccia) cambia registro: diventa un coro generazionale, amplificato dalla presenza degli PSICOLOGI e di Lil Busso. In una società conformata il rapper sembra abbracciare una visione dionisiaca dell’esistenza: un invito a ballare nudi sotto la pioggia fino all’alba, tra le strade di una città che non dorme. Come scriveva Nietzsche: “Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante”.
Pietro scava dentro di sé per riaprire vecchie ferite: riflette sull’infanzia, sull’ombra lunga dei genitori, sulla crescita piena di crepe, sulle scelte mancate, i sogni spezzati, le aspettative che hanno graffiato invece di sorreggere. Ma sente anche il bisogno di dare voce a ciò che non ha mai detto (forse neppure a se stesso) alle sue “verità” (settima traccia): un atto di liberazione per spezzare le catene dei rimorsi e tornare a “galleggiare” (decima traccia) con lo sguardo rivolto, finalmente, avanti. Due brani che si muovono tra trap e indie-punk, in pieno stile Chiello: sussurri che si frantumano in grida, confessioni che esplodono in urla a squarcia gola, in un’espressione catartica e malinconica, vibrante di un’emozione grezza e viva.
La rinascita dell’artista comincia dalla stessa Milano acida e tentacolare che un tempo lo minacciava, e che ora, come una catabasi, potrebbe trasformarsi in un’opportunità di rinnovamento. “MilanoCOLLANE” (ottava traccia) e “$OLDI DENARO MONETA CA£££HH” (undicesima) sono il manifesto della sua ambizione travolgente: il desiderio di affermarsi, di conquistare il suo posto nel mondo, pur consapevole dei pericoli e delle tentazioni che si celano lungo il cammino. Tredici Pietro scivola con naturalezza in un’atmosfera street e grime dove la dubstep, con bassi potenti e una produzione aggressiva, amplifica l'urgenza di chi trova la propria essenza nel disordine.
L’album si chiude magistralmente con “TRADIRti”, un’amara riflessione sulla società e su ciò che siamo diventati, affrontando tematiche politiche e critiche verso un sistema che sembra corrotto irrimediabilmente. La fotografia di una realtà complessa e frammentata, alla quale non possiamo sottrarci, ma che possiamo ancora rifiutare di subire:
“Noi siamo un corpo, siamo aria
Siamo grammi, siamo sostanza
Siamo rotti, siamo fumo
Siamo il vino, siamo la pasta
Siamo i cani alla stazione e siamo i ricchi di questa città
Siamo bombe sopra Gaza, siamo questa società
È marcia”
In questo equilibrio precario tra vecchio e nuovo sé, tra ferite e tentativi di guarigione, Non guardare giù diventa un atto di fede nel cambiamento, anche quando tutto intorno vacilla. Tredici Pietro non è più l'ultimo arrivato, come rappava nel suo primo singolo “Pizza e fichi”, perché è riuscito a trovare la sua voce e uno stile unico di attraversare il rap, la vita e le sue contraddizioni.
L’artista bolognese è salito in cima alla scena urban italiana e adesso non ha intenzione di guardare giù.