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REVIEWSLE RECENSIONI
16/01/2018
Signs To The City
Not Made of Miracles
Lo standard qualitativo di ognuna delle sei canzoni di Not Made of Miracles, ep di debutto dei Signs To The City, è mediamente alto e sicuramente l’impressione, ascolto dopo ascolto, è quella di trovarsi di fronte a un gruppo di musicisti che ha già più di qualche esperienza alle spalle e sa con precisione quello che vuole e come ottenerlo.

La vita è fatta di piccole cose. Molto probabilmente, è questo che deve aver pensato Jarrett Lobley mentre scriveva le canzoni di Not Made of Miracles, ep di debutto dei suoi Signs To The City. E nessuno come lui può dirlo con cognizione di causa. Lobley, infatti, non è solo il cantante della band ma, soprattutto, è un medico di famiglia. E, senza dubbio, è proprio grazie al suo lavoro – che prevede un quotidiano contatto con i suoi pazienti, visitati casa per casa, rigorosamente a cavallo della propria motocicletta – se è riuscito a raccontare con intimità e delicatezza la vita di tutti i giorni. Una “vita degli altri” nella quale Jarrett si trova, in veste di testimone, di fronte a difficoltà più o meno insormontabili, piccoli e grandi problemi, paure e speranze. Ma dove, però, l’umanità è sempre messa al cento. Sono proprio gli spostamenti in motocicletta tra un quartiere e l’altro verso un nuovo paziente – veri e propri momenti di decompressione, spesso incorniciati da un suggestivo tramonto all’orizzonte – che permettono a Jarrett di riflettere su ciò che ha appena visto, nel tentativo di riversarlo in una canzone, raccontando della bellezza nascosta nelle pieghe della vita di tutti i giorni.

Evoluzione del Jarrett Lobley Project, che aveva dato alle stampe nel 2015 l’album Better Days, i Signs To The City sono un combo Rock composto da Lobley alla voce, Joel Klasse alla chitarra, Earl Pereira al basso e Tim Iskierski alla batteria. Ma se dal vivo i quattro hanno un approccio più passionale e diretto, su disco sono più contenuti, ma non per questo meno incisivi. Le chitarre elettriche, infatti, sono utilizzate con parsimonia, il più delle volte in secondo piano, impiegate in un fine lavoro di cesello, mentre a farla da padrone sono la chitarra acustica, il pianoforte e un leggero tappeto di elettronica. L’iniziale “Dark Water” è forse la canzone dove il gruppo si esprime più compiutamente, un pezzo dalle parti del Beck più Pop, mentre in “The Line” si sentono echi dei migliori Train. Lo standard qualitativo di ognuna delle sei canzoni è mediamente alto e sicuramente l’impressione, ascolto dopo ascolto, è quella di trovarsi di fronte a un gruppo di musicisti che ha già più di qualche esperienza alle spalle e sa con precisione quello che vuole e come ottenerlo. Lo dimostra la canzone che chiude l’ep, “Darker Side of Paris”, un pezzo dalle parti dei Kinks, nella quale i Signs To The City dimostrano tutta la loro destrezza compositiva. Fossero stati dei musicisti più acerbi, Lobley & Co. non sarebbero stati in grado di portare a casa il risultato. Se queste sono le premesse, tutto è possibile.