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REVIEWSLE RECENSIONI
22/06/2021
Bluem
Notte
Questo è uno di quei dischi (anche se, data la lunghezza, sarebbe meglio dire Ep) che potrebbero contribuire a ridefinire il contesto della musica italiana, al di là di mode, cliché stilistici e arroccamenti in comfort zone sempre più tenacemente difese.

Se succederà, sarà anche grazie alla doppia anima geografico-culturale che si nasconde dietro il progetto Bluem: Chiara Floris, classe 1995, è nata in Sardegna, ha vissuto a Sassari fino al 2014 quando si è trasferita a Londra per studiare musica, occupandosi soprattutto di colonne sonore e sonorizzazioni per pubblicità e vari prodotti televisivi.

Bluem è nato lì, dopo una serie di esperimenti con la lingua inglese che non hanno avuto seguito, dalla sua passione per il Jazz (il monicker proviene da “Blue Moon”, di cui ha dichiarato di amare soprattutto la versione di Billie Holiday) e fonde gli artisti della nuova generazione Urban con la tradizione sarda, dando vita ad un connubio per certi versi unico. Niente di nuovo, per carità: per rimanere nello stesso orizzonte spaziale, è la stessa cosa che aveva già tentato Iosonouncane con “Die” e che ha in gran parte ripreso nell’ultimo “Ira”. Eppure, niente mi toglie dalla testa che le proposte più interessanti ormai arrivino da questo crossover tra mondi sonori lontani, che nel momento in cui vengono accostati rivelano al contrario vicinanze insospettabili.

Qui i nomi di riferimento li ha dichiarati Chiara stessa ma sono piuttosto evidenti: da Frank Ocean a Rosalia, passando per 070 Shake ed FKA Twigs, è quel mondo di suoni minimali e notturni a dominare questa manciata di canzoni e che si mescola a suggestioni provenienti dal folklore sardo, oltre ad una certa dose di inquietudine e straniamento che si spiegano facilmente nel momento in cui viene tirata in ballo la sua passione per David Lynch (un pezzo come “Mercoledì” ha un non so che di “badalamentiano” nelle atmosfere).

Progetto particolare anche nell’impostazione: sette canzoni per 18 minuti di musica, titoli che indicano i giorni della settimana, dal lunedì alla domenica, che è esattamente il lasso di tempo che ci ha messo per scriverlo. Ha raccontato di stare attraversando un periodo difficile, con il ritmo frenetico di Londra che le impediva di focalizzarsi a dovere sulle sue ambizioni artistiche, di essersi presa una settimana di ferie e qui, in una sorta di riedizione dell’esperimento “Whack World” di Tierra Whack, ha scritto un pezzo al giorno con mezzi spartani (all’inizio di “Martedì”, l’efficacissimo ritornello viene proposto attraverso l’audio del telefono con cui è stato fissato per la prima volta) e l’ha intitolato “Notte”, un concetto che non solo riflette alla perfezione le sensazioni che si provano all’ascolto, ma indica anche il momento della giornata in cui i vari episodi hanno preso vita.

C’è anche una parte visiva molto interessante: una serie di fotografie realizzate dall’artista di origini islandesi

Jasmine Färling, che ritraggono donne sarde nei costumi tradizionali di quella terra, in una serie di location che spaziano tra Arbus, Piscinas e le campagne attorno ad Oristano. Tributo alla sua terra d’origine (“Mi sento ricca per essere nata sarda – ha detto in una recente intervista – ci sono tantissime tradizioni, anche sconosciute”) che è riuscita inconsciamente ad assimilare nella propria musica, facendole convivere in modo molto naturale con le secche tessiture di minimalismo elettronico delle varie tracce: lo si avverte soprattutto nell’iniziale “Lunedì”, che oltre ad essere quella che più si ispira alla proposta di “Rosalia”, incorpora un certo tribalismo ancestrale nelle melodie vocali e nell’uso delle percussioni; oppure in “Martedì”, che ruota attorno ad una linea vocale ipnotica dal sapore popolare; o, meglio ancora, in “Venerdì”, che è costruita su un campionamento della voce della nonna, tratto da un documentario intitolato “Isole” che Francesca, sorella di Chiara, aveva realizzato alcuni anni fa. È un brano toccante, che sottolinea ancora di più il legame tra culture e generazioni differenti, di come si possa andare a vivere in un altro paese e nel contempo mantenere radici salde nel proprio luogo d’origine, un luogo che per secoli è stato considerato alla periferia del mondo, autoreferenziale e chiuso su se stesso.

Prodotto da Simone D’Avenia e dalla stessa Bluem, “Notte” è un lavoro dalle potenzialità incredibili, scarno nella forma espressiva ma straordinariamente intenso nelle emozioni e nelle suggestioni veicolate. Ripeto, i riferimenti sono chiari e non c’è chissà quale originalità. Ad impressionare è semmai la naturalezza con cui vengono plasmati e rielaborati i materiali a disposizione. È la naturalezza di un’artista innamorata di certi mondi sonori e tremendamente consapevole di dove voglia arrivare.

Sono solo 18 minuti ma qui dentro ci potrebbe essere la chiave per poter cominciare a fare un discorso diverso, o piuttosto per approfondire quello che le varie La Nina, Ginevra, Ditonellapiaga, Whitemary, ETT hanno già iniziato a fare, seppure da punti di partenza leggermente diversi.


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