Sarà banale ma giova comunque ripeterlo: se gli Studio Murena fossero di Londra, sarebbero già esplosi in ogni dove e ne staremmo parlando con lo stesso entusiasmo che utilizziamo per artisti come Flying Lotus o Kamasi Washington. Oppure, potrebbe essere una valida contro argomentazione, la scena inglese Contemporay Jazz è talmente affollata che rischierebbero di perdersi tra mille act altrettanto bravi.
Sta di fatto che questi sei ragazzi sono di Milano ed è con l’Italia e la sua scarsa dimestichezza con la musica che hanno dovuto sempre confrontarsi. La situazione odierna dice che nonostante tutto, tante cose si stanno muovendo, in casa della band: certo, si è sempre costretti a chiedersi per quale motivo non riempiano almeno i grandi club e non siano sulla bocca di tutti, ma è innegabile che dall’uscita di WadruM in poi si siano tolti parecchie soddisfazioni. Tra partecipazioni a trasmissioni tv (Niente di strano), collaborazioni con registi importanti (Luca Guadagnino), ospitate ad eventi mainstream (La notte della Taranta) e presenze nei cartelloni di importanti festival (Sziget), non si può dire che gli ultimi due anni degli Studio Murena siano stati poveri di traguardi. Per non parlare poi della credibilità che si sono costruiti presso le comunità Rap e Jazz italiane, testimoniata dai featuring prestigiosi che comparivano sul precedente lavoro e di quelli altrettanto blasonati che ci sono su questo.
Che cos’è che non funziona, dunque? Che cos’è che separa il collettivo milanese dalla consacrazione definitiva? Probabilmente c’entra la loro particolare natura ibrida: cinque musicisti Jazz e un MC non sono una combinazione che dalle nostre parti si veda spesso, abituati come siamo a separare le due proposte. Aggiungiamo che la nostra scena Hip Hop non possiede molta dimestichezza con la dimensione “live” (si contano sulle dita di una mano i rapper che sul palco utilizzano una band) e che le barre di Lorenzo “Carma” Carminati sono decisamente introspettive e molto poco immediate, e si capirà perché occorra probabilmente un’esperienza di ascolti più matura di quella della media del pubblico Rap per potere apprezzare davvero una proposta del genere.
Notturno, da questo punto di vista, non riequilibrerà le cose, essendo un passo avanti notevole a livello di scrittura e di coscienza dei propri mezzi. Se già WadiruM aveva rappresentato una prova di forza notevole, la certezza per noi ascoltatori di essere di fronte a qualcosa di decisamente fuori dal comune, il suo successore prosegue il discorso ma lo mette maggiormente a fuoco, con dei brani più omogenei fra loro (in questo senso, si tratta di un disco più continuo e solido nell’assetto) e dei testi che puntano parecchio sulla dimensione personale e introspettiva dell’autore.
Carma in questo senso si conferma bravissimo nel consegnarci squarci e istantanee del proprio inconscio, immagini folgoranti nella loro crudezza, inserite all’interno di un racconto esistenziale che rivela un bisogno tutto umano di tenerezza e comprensione, ma non cede mai al vittimismo. Il tutto espresso in uno stile dalla notevole ricchezza letteraria, lontanissimo dall’immediatezza spesso banale dei cliché che infarciscono le produzioni di gran parte degli esponenti della scena. Per non parlare di un flow assolutamente pazzesco, da non capire come non sia ancora annoverato tra i più grandi MC del nostro paese.
I suoi compagni d’avventura non sono da meno e a questo giro riescono anche a superarsi, ancora una volta sotto la sapiente direzione di Tommaso Colliva, che si è anche occupato delle programmazioni elettroniche che fanno da collante alle interazioni strumentali dei vari componenti. Menzione speciale va al batterista Marco Falcon, fenomenale nell’imbastire poliritmi e altre evoluzioni funamboliche, e che impressiona soprattutto se visto dal vivo (che è comunque la loro dimensione ideale, cercate dove suonano e non fateveli scappare) ma sono tutti musicisti incredibili, dal bassista Maurizio Gazzola al tastierista Matteo Castiglioni, passando per il chitarrista Amedeo Nan (le sue parti in questo disco sono veramente bellissime, soprattutto quelle che interagiscono col piano elettrico) e Giovanni Ferrazzi, che si occupa dell’elettronica e che qui gioca un ruolo non trascurabile nel disegnare un paesaggio sonoro particolarmente scuro e poco rassicurante.
Notturno in effetti rispecchia il proprio titolo nelle atmosfere di gran parte dei pezzi, anche se non mancano inattese aperture, dove la melodia gioca un ruolo preponderante: si prenda ad esempio “Vai via”, sospesa sugli archi di Rodrigo d’Erasmo, con un ritornello dal feeling Black interpretato benissimo da Tahnee Rodriguez. Oppure “Tunnel”, con l’ottimo feat di Willie Peyote, che riflette su paure e insicurezze ma lo fa con un approccio piuttosto easy listening ed un ritornello cantato di grande efficacia. Si potrebbe citare anche “Nostalgia”, su cui Fabrizio Bosso infila la sua tromba con esiti spettacolari, per un brano che ruota attorno ad un campione di “Domani è un altro giorno”, interpretazione di Ornella Vanoni di un brano originariamente in inglese scritto da Jerry Chestnut.
Ma è un disco cupo, dicevamo, per certi versi inquietante, e allora ecco “Baba Yaga”, dove l’elettronica compie un lavoro magistrale e dove spicca anche l’ottimo lavoro di 24kg, un rapper di cui immagino sentiremo molto parlare, e che compare anche su “Oskar Kokoshka”, dove il celebre pittore austriaco diventa metafora di uno stato confuso e allucinato (qui c’è da segnalare anche il sax di Riccardo Sala). Le suggestioni decadenti della Mitteleuropa di fine Ottocento compaiono anche in “Vienna”, che parte da ricordi personali ma che sembra poi voler abbracciare una dimensione più universale, un brano aperto da un’impronta costruito su un crescendo di batteria in cassa dritta, mentre nella main song la band lanciata a briglia sciolta raggiunge l’apice dell’intensità.
“Tre porte di paura” è un altro momento di grandissima efficacia e che in un certo senso potrebbe riassumere il concept lirico dell’intero lavoro, con la messa in scena di una seduta di psicoterapia di Carma, dove la psicologa (interpretata dall’attrice Valeria Perdonò) non sembra avere gli strumenti necessari per stare di fronte ai sogni inquietanti e disturbati dell’autore. L’effetto finale, tuttavia, è in un certo senso anche divertente, come se in queste barre a cuore aperto ci fosse anche una certa componente autoironica.
In chiusura, “Fuori luogo” con Mezzosangue suona molto Rap Old School, mentre “Jazzhighlanders”, che è anche il primo singolo estratto, funziona volutamente come manifesto, mettendo in fila tutti i più importanti ingredienti strumentali per cui il gruppo si è guadagnato la propria fama.
Disco come in Italia ce ne sono pochi, nuovo centro di una band di autentici fuoriclasse.