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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
26/01/2022
Terry Callier
Occasional Rain
Occasional Rain anticipa di un anno il capolavoro di Callier, What Color Is Love: meno sperimentale, forse, ma comunque un gioiello di melodie e pathos, pervaso da una sincera e colta anima blues.

Terry Callier è uno di quei musicisti che non è semplice etichettare. Sebbene possa rivendicare la corona del soul folk con la stessa autorità di chiunque altro, il cantante di Chicago ha sempre posseduto un DNA più complicato. "Ordinary Joe", la luccicante apertura di Occasional Rain, il cui vinile, tra l’altro, è un oggetto da collezione molto ricercato, chiarisce che Callier è un musicista inafferrabile, un’anima musicale ricca di sfaccettature, capace di oscillare fra i generi con una padronanza che è solo di pochi.  

In tutta la sua estetica artistica scorre, poi, fluente, il sangue della sua nativa Chicago, come confluenza essenziale di molti filoni della musica nera. Così, l’incredibile combinazione dello struggente songwriting di Callier e dei brillanti arrangiamenti eterei di Charles Stepney, ha prodotto, in questo disco (che anticipa di un solo anno il capolavoro indiscusso What Color Is Love) un suono decisamente unico, contiguo, per certi versi, al gospel gotico (e psichedelico) dei leggendari Rotary Connection.  

In altre parole, l'atmosfera in Occasional Rain è decisamente cupa. Le canzoni sono intense, a tratti addirittura commoventi, dal momento che le liriche parlano di tradimenti, di vite spezzate e di amori perduti, tuti racconti resi con una carica emotiva sincera, che va oltre ogni superficiale melodramma. Callier, in tal senso, ricorda un po' il cantante folk urbano Len Chandler (chiedete a Dylan per le referenze), nella misura in cui riesce a distillare emozioni crude in testi che non hanno bisogno di ricorrere al melenso ricatto della lacrima. Ogni emozione, in questo disco, suona così incredibilmente verace e palpitante (provate a trattenere le lacrime, se siete capaci, durante l’ascolto di "Do You Finally Need A Friend"): la voce profonda e densa di Callier, la grazia cristallina degli arrangiamenti, che creano un connubio indissolubile fra blues, soul e armonie gospel, il contributo decisivo dei soprani Kitty Haywood e Minnie Riperton, il cui tono vagamente spettrale riesce a essere al contempo tanto ossessionante quanto incredibilmente carezzevole.

Tutti questi elementi rendono affascinante, non soltanto Occasional Rain, ma un po' tutto questo periodo creativo della storia musicale di Callier. Da un lato, il matrimonio artistico con l'ingegnoso Stepney, ha prodotto una tela sonora unica per i suoi colori secondari dal sapore quasi operistico, dall’altro, una scrittura luminosa, ricca di sfumature, che mette al centro la poetica di Callier, un musicista e un narratore talmente ispirato, che potrebbe eseguire in modo convincente qualsiasi canzone con nient'altro che una chitarra acustica. 

Questa forte spinta narrativa, indissolubile dalle melodie, è ciò che rende Occasional Rain un classico senza tempo, un'opera d'arte dai connotati intellettuali, che, tuttavia, esprime un profondo radicamento nella cultura popolare di quel momento storico e di quella città, Chicago, che è stata per Callier qualcosa di più che una semplice fonte d’ispirazione. Grande musica, è fuor di dubbio, ma anche una profonda umanità, capace di rendere universali i palpiti del cuore. Folk, psichedelia, soul, gospel e, soprattutto, blues. Il blues: una delle poche forme d’arte al mondo che sappia essere contemporaneamente colta e popolare. Callier lo aveva capito meglio di chiunque altro, ed è questa la forza di un disco, il cui ascolto vi cambierà la vita.