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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
30/08/2017
Qualche pensiero sui Neon
Of Blues And Bruises: l’ennesima strada senza uscita sentimentale
L’importante è che blues and bruises valgano la pena. E le drum machine devono suonare come maschie automobili che infrangono vetrate piombate di cattedrali tardo medievali. Senza rimpianti, marinettiane e futuriste.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Nell’estate 1984, all’edicola della fermata di metropolitana di Bank, City of London, compro l’usuale trimurti in una soleggiata mattina di metà settimana: NME, MM e Sounds. Nell’ultimo c’è un’intervista a Steve(n) Severin nella quale egli spiega all’intervistatore, dato l’incipit, che la musica che ascoltava quando gli ha aperto la porta sono i “DAF italiani”.

La MC7 gliel’ho mandata io.

Sono i Neon.

Pochissimi sono gli artisti italiani che io stimo (la parola “rispetto” me l’hanno sottratta con l’inganno infime e sbiadite figure di una scena rap locale che nemmeno potrebbero avere il ruolo di comparse pasoliniane), per tutto quel che arriva dalla Toscana, poi, io nutro un sospetto che si estinguerà alla mia morte, forse: troppe le energie ivi profuse per darci un Niccolò e un Leonardo.

Ma ecco questi fiorentini che, un anno prima di quell’estate albionica per me impareggiabile, mi portano via: io che piuttosto di incappare nel banale femmineo, continuo, appunto, in quegli anni a schivare il pericolo e a lasciare le mie lenzuola fredde, fredde ma non in grado di farmi vergognare.

Mi arrovello e torturo, dunque, su una nuova lied di romantica passione: “My Blues Is You”: privilegiate il singolo, purtroppo la versione inclusa nell’album Rituals soffre di aggiunte barocche assolutamente leziose e grevi.

Curiosi? Cercate altresì gli EP dodici pollici precedenti: Obsessions e Tapes Of Darkness.

A detta di Sergio di Tape Art, nel primo dei due (di cui custodisco anche una rara copia promozionale) suonava una splendida, oltre che brava, tastierista: Barbara Big. Forse fu lei – sarebbe bello se leggesse queste righe – a ispirare quei sentimenti bluastri, dolorosi ma piacevoli, che mi sorpresero dal piatto del Virdis nel 1983?

L’importante è che blues and bruises valgano la pena.

E le drum machine devono suonare come maschie automobili che infrangono vetrate piombate di cattedrali tardo medievali. Senza rimpianti, marinettiane e futuriste.