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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
05/05/2025
Pat Metheny
One Quiet Night
Nato per caso, “One Quiet Night” si rivela un disco intimo, personale e regala ancora tante emozioni a oltre vent’anni dalla sua pubblicazione. Andiamo a rispolverarlo con Re-Loudd.

La chitarra baritono è uno strumento speciale, a metà strada tra una chitarra e un basso e proprio dall’acquisto di questa particolare sei corde, costruita dalla fidata liutaia Linda Manzer, parte la realizzazione di One Quiet Night, un progetto strano e inaspettato, tuttavia intrigante, estemporaneo e non ricercato.

Pat Metheny coglie l’occasione per provare cose nuove, suonando in solitudine, nello studio di casa. Nella concentrazione e intimità delle quattro mura domestiche, si dedica all’incisione di alcune delle sue canzoni preferite, tra le quali la celebre “My Song” di Keith Jarrett, “Ferry Cross the Mersey” di Gerry and the Pacemakers, trasformata in uno struggente lamento, e “Don’t Know Why” dell’allora astro nascente Norah Jones. Il tutto senza badare troppo alla forma, ma affidandosi alla passione del momento.

Il risultato è un disco genuino, molto spirituale, personale, con la title track saggiamente posta all’inizio ad aprire le danze e a indicare il peculiare percorso dell’opera e le seguenti “Another Chance”, “Time Goes On” e “Over on 4th Street” pronte a meravigliare per l’eleganza e freschezza delle trame melodiche che scorrono senza mai deragliare sui binari dell’autoreferenzialità.

«Questo album parla essenzialmente di un suono, di uno stato d'animo, e di prendersi il tempo per andare in profondità in quel singolo mondo» (da patmetheny.com)

 

Concepito in un solo giorno (o meglio, parafrasando il titolo “in un’unica notte di quiete”), il 24 novembre 2001, momento clou dell’ispirazione, e poi terminato con registrazioni aggiuntive nel gennaio 2003, One Quiet Night stupisce per la varietà della proposta, pur essendo interamente acustico e individuale, senza la partecipazione di nessun membro della band. Ad esempio “Song for the Boys” suona sorprendentemente simile alle evoluzioni sonore presenti in “Dogs” dei Pink Floyd e a quelle del pop britannico di metà anni Ottanta alla maniera degli Smiths, come in un perfetto incastro, mentre la rilettura della propria “Last Train Home”, da Still Life (Talking), mescola brillantemente l'abilità di Metheny nel prendere semplici progressioni di accordi e nel modificarle splendidamente con armonie particolari e inaspettate.

Una chitarra, un microfono e alcuni errori che l’artista del Missouri non ha voluto correggere per non togliere nulla al feeling iniziale dei pezzi: questo è, in sintesi, quanto utilizzato per registrare l’album, con apici quali “Peace Memory”, “I Will Find the Way” e l’epica “North to South, East to West”, oltre dodici minuti di ritrovata serenità con il caratteristico playing di Pat a tessere la strada come un filo d’oro. Jazz, folk e pop si fondono magnificamente in arrangiamenti spogli tuttavia pregni di musicalità e sentimento, di una semplicità incantatrice come se da una sola notte dipendessero le sorti del mondo.

 

«Queste registrazioni hanno offerto una finestra su una maniera di pensare alla musica che onestamente mi ha attratto quella sera, un modo che continua ad affascinarmi nel tempo piacevolmente trascorso con questa chitarra e con l'accordatura. Inoltre, ho affrontato un argomento toccato solo occasionalmente e che ora spero di continuare a perseguire, possibilmente con chitarre diverse: il mondo unico e stimolante della chitarra solista». (da patmetheny.com)

Le parole di Metheny inquadrano bene il continuo percorso di ricerca da lui seguito in tutta la carriera. Classe 1954, famoso per essere stato il più giovane insegnante di musica, appena maggiorenne all’Università di Miami e, poco dopo aver soffiato diciannove candeline, al Berklee College of Music di Boston, Pat è stato un pioniere della musica elettronica e della sua commistione con il jazz. In particolare l’uso del sintetizzatore Roland “applicato” alla chitarra, il considerarlo uno strumento vero e serio pure in un genere con un’ottica “classista” in tal senso, ha rivoluzionato la visione dell’evoluzione tecnologica, ponendo le basi per nuove sonorità, per una maggiore libertà compositiva.

E trovarlo, sulla soglia dei cinquant’anni, a “trafficare” solo soletto su una nuova chitarra, felice come un bimbo che gioca, incarna l’essenza dei grandi artisti, rivoluzionari, tuttavia con le radici ben radicate nella tradizione. Sempre all’avanguardia, con uno sguardo al passato e, a volte, il desiderio di tornare alla semplicità per assaporare ancora sensazioni ataviche, provare il fascino e l’eccitazione di sentirsi “nudo” davanti al proprio strumento per creare musica, in modo naturale, senza alcun espediente. “Per una sola notte”, ma con la passione di sempre.