Mi auguro che i miei lettori (che cominciano anche a dare giudizi, per di più lusinghieri, quindi li ringrazio doppiamente) ogni tanto possano semplicemente divertirsi, al di là della mia abitudine delle note a piè pagina.
Però, dato che spesso mi lamento dell’Italia, pur non essendo incondizionatamente patito della Francia, ne riconosco i pregi.
Nel 2002 dopo essermi letto A Fistful of Gitanes, ottima biografia in Inglese su Serge Gainsbourg, cominciai ad esplorare i testi francesi, ben più abbondanti sull’argomento.
Dunque onore al merito di Sylvie Simmons la quale era riuscita a sbloccare la mia diffidenza per il cantante meno cantante, ma più idolatrato (e non esagero), di Francia.
Facendo un po’ di ricerche, scopro che al di là del “biografo ufficiale certificato” Gilles Verlant, comunque validissimo autore e conoscitore della materia, compare con frequenza un libro che è in qualche modo sconsigliato se non addirittura disconosciuto dai più devoti sostenitori di Monsieur Gainsbarre: si tratta di Gainsbourg sans filtre scritto da Marie-Dominique Lelièvre.
Per farla breve, decido di tentare; quindi acquisto il libro, ignaro delle sue conseguenze.
Infatti, vi compaiono riferimenti bibliografici riferiti a figure leggendarie come Alain Pacadis e Yves Adrien (con opere letterarie diametralmente opposte per stili, comunque in seguito ristampate e quindi facilmente reperibili) e anche nomi già familiari per quel che concerne le cronache punk d’Oltralpe.
Il volume della Lelièvre è molto buono, pur se non è il primo libro da leggere su Gainsbourg (del resto lei stessa cita estensivamente opere di Gilles Verlant).
Da quella bibliografia, brevi ricerche su Internet mi hanno condotto a L’Esprit de seventies (riedito nel 2013 con il titolo Alain Pacadis – Itinéraire d’un dandy punk[1]) di Alexis Bernier e François Buot, testo indispensabile (con Pacadis sorta di protagonista “guida” nel senso dantesco) per chi sia interessato alla scena francese di quel decennio che, per quelli che lo vedono cominciare con il primo album dei Velvet Underground[2], ha dei contorni evidentemente non convenzionali.
Il tomo di Bernier e Buot è, quindi, un vero vaso di Pandora.
Così nascono gli interessi collegati l’uno all’altro che portano sempre più lontano, ad esplorare argomenti che altrimenti rimarrebbero preclusi per plurime ragioni.
Ecco perché un buon libro[3] è sempre una bella sorpresa.
[1] Dichiaratamente un’edizione riveduta.
[2] Tesi condivisa da Jon Savage, ad esempio.
[3] Preciso che tutti i titoli qui citati sono ancora disponibili (usati o nuovi) per chi sia uso comperare tramite Internet.