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REVIEWSLE RECENSIONI
16/04/2019
La Dispute
Panorama
E’ un saliscendi senza freni, Panorama, una giostra impazzita, che ci costringe a fare i conti con un’emotività insistente e invasiva

Il mare d’inverno, soprattutto. Un cielo livido, freddo come l’acciaio: i nembi si addensano, ribollenti di pioggia e di oscuri presagi, che si materializzano proprio là in fondo, dove l’orizzonte sfiora con le dita il filo sottile dell’acqua e un ultimo barbaglio di sole svanisce. Gli smeraldi rilucenti del mare trasmutano la propria gioia in un’afflizione torbida, sgranando gli ultimi verdi riflessi nel grigio opalescente della nostalgia. Un’increspatura, un breve mulinello, e poi gorghi sempre più ampi, la marina ribollente, l’impeto sempre più feroce della risacca e, quindi lo schianto di un’onda, rumoroso e brutale, come solo la natura sa essere.

C’è il mare in inverno nel quarto disco dei La Dispute, quel mare che accerchia il Michigan, paese di provenienza della band. Il panorama, però, non è quello che trovi sulle cartoline: lo sguardo, semmai, è pervaso da un romanticismo febbrile e disperato, uno sturm und drang musicale che ha lo stesso suono del mare: il monotono sciabordio dell’acqua, l’errante vagabondare delle onde, e poi, grido nella notte, improvviso arriva il fragore, che spezza il cuore, come un dolore inaspettato e definitivo.

E’ questo lo sviluppo sonoro delle dieci canzone che compongono Panorama, full lenght che sublima la poetica di Jordan Dreyer, leader, cantante e paroliere di una band che ha sempre messo al centro della narrazione un lirismo duro e disperato: l’incedere morbido, talvolta avvolgente e amniotico, che all’improvviso deraglia, trasfigurando lo spoken word del cantante (il cui timbro ricorda quello di un Robert Smith alle prese con attacchi di panico) in improvvisi accessi di rabbia belluina.

Ecco allora le montagne russe emotive di Fulton Street I, il cui dipanarsi monotono del drive di chitarra progredisce ciclicamente verso improvvisi crescendo, come se un pensiero, prima dolcemente malinconico, prendesse lentamente le sembianze di uno sconforto gonfio di lacrime sapide di ineluttabile consapevolezza. Una consapevolezza, che permea di voluptas dolendi le chitarre slintiane di There You Are (Hiding Place), spazzate via da una disperazione urlata, urgente e repentina, come solo la disperazione sa esserlo, quando tocca le corde dell’anima.

E’ un saliscendi senza freni, Panorama, una giostra impazzita, che ci costringe a fare i conti con un’emotività insistente e invasiva. Si potrebbe parlare di emo-core, ma facendo ben attenzione a non travisare la definizione. In Panorama la melodia non serve a compensare l’impeto, non è il contraltare alla forza bruta, come succede in certe band bimbominchia, che non hanno coraggio di essere cattive fino in fondo, e hanno bisogno di escamotage radiofonici per non spaventare e essere plausibili verso un vasto pubblico. In queste canzoni, l’impianto melodico è, invece, strutturato come una tappa di un percorso emotivo che porta, sempre, inevitabilmente, a un’angosciosa afflizione. Canzoni che hanno un nobile pedigree, grazie a quel costante richiamo delle chitarre agli Slint, e che guardano in faccia senza timore reverenziale un capolavoro dell’emo-core, come The Devil And The God Are Raging Inside Me dei Brand New. Disco emozionante ed emozionato: godetevi il Panorama.