Fotografia e fumetto si mescolano per raccontare la vita degli immigrati in Italia dopo aver affrontato le intemperie del mare. Paradiso Italia è un pezzo di giornalismo senza filtri in cui Mirko Orlando denuncia la condizione di quanti rimangono invisibili nella palazzina dell’Ex Moia di Torino e tra le baracche nella periferia di Ventimiglia. Emerge la voce dei migranti in grado di fare anche una lucida analisi della politica italiana. L’autore ritrae uomini e donne senza sconfinare nell’ovvio buonismo, piuttosto cerca di capire i lati controversi della personalità messa a dura prova dalla disperazione e dalla violenza subita.
C’è un passaggio della tua biografia che mi ha colpito ed è quello relativo al fotografo situazionista Pino Bertelli che ti ha insegnato a scattare fotografie “come si tirano sanpietrini”. Ecco, cosa significa esattamente?
Bertelli ha rappresentato il punto di svolta del mio percorso professionale. Quello che ho apprezzato è la sua inclinazione ad applicare la fotografia ai fenomeni di marginalità sociali. I suoi lavori trattano i temi della diversità, dell’emarginazione, della migrazione, della libertà. Le mie foto sono forme di protesta. Una volta, lui stesso mi disse: “Certe macchine sono così robuste, che le puoi sempre tirare addosso a qualcuno”.
Perché Paradiso Italia?
In primis, mi piaceva l’ambiguità richiamata dell’espressione. È opinione comune pensare che i migranti giunti in Italia trovino il paradiso. In realtà, non accade questo. Etimologicamente, poi, la parola significa recinto. Nel momento in cui gli esseri umani si sono trovati in un mondo perfetto, l’hanno immaginato come una rete di divisione. Così si apre il libro, sulla raffigurazione di un Eden che ha perso la sua valenza salvifica. La storia è, dunque, il risultato laico di questa incapacità di pensare a un mondo che non presupponga necessariamente l’esclusione. Siamo vittime di una logica dicotomica, l’archetipo del bene e del male e questo ci conduce a tutte le altre discriminazioni.
Hai deciso di vivere a stretto contatto con i migranti per osservarne luci e ombre. Qual è la storia che ti è rimasta nel cuore?
Quando decidi di vivere a pieno una realtà, cambia il tuo punto di vista rispetto a quando osservi le cose a distanza. Non c’è una storia in particolare. Ho vissuto un’esperienza forte, nonostante si sia trattato di soli tre mesi. Quello che mi ha colpito è una sensazione generale di coraggio, la loro determinazione di fronte alle difficoltà. Uno dei ragazzi, per esempio, ha contratto la tubercolosi. Una diagnosi grave che, però, non ha ostacolato il giovane pronto a sfidare i confini tra Italia e Francia.
La decisone di rappresentare la mattanza dei cani all’inizio ha un chiaro significato simbolico. Quale?
La mattanza dei cani simboleggia la morte dell’innocenza, della fiducia e della speranza in una vita dignitosa. Rappresenta quello che sta accadendo. Le persone, oggi, hanno il diritto di essere spaventate, ma è difficile capire chi sia la vittima e chi il carnefice. Bisogna uscire da questa logica.
E le mani grandi dei protagonisti?
Il mio lavoro è una fusione organica tra foto e fumetto. Quello che mi sono chiesto è: “Che cosa può dare il fumetto in più alla fotografia”? Questa sorta di deformazione appunto, una caratterizzazione che, con la macchina fotografica, non è possibile.
Credo che l’integrazione sia frutto di un processo che parte dal “basso” ossia dalla predisposizione dei cittadini e, allo stesso tempo, “dall’alto”, mediante politiche ad hoc. Secondo te, a che punto siamo?
Io credo poco nella responsabilità individuale. Noi non siamo frutto delle nostre decisioni, ma dell’ambiente circostante. La convinzione del libero arbitrio, di matrice cristiana, ci ha portato a credere che l’uomo sia libero di scegliere. Non è così. Si pensi a una persona nata a Scampia, inevitabilmente il suo modus operandi si adatterà a quelle circostanze. Cosa voglio dire? Le responsabilità sono da attribuire alla politica. Dal punto di vista umano e filosofico, è difficile attribuire colpe all’individuo. È la politica a non essere a buon punto, perché ha risposto alla crisi con un capro espiatorio che è quello del nemico a tutti i costi.
Cosa ti aspetti da questo libro, ritieni che possa attivare un processo di catarsi delle coscienze?
Le coscienze che vorrei smuovere io, non leggono! Sentivo l’esigenza di dare un nome, senza una presunzione salvifica nei confronti del mondo. Quello che ho fatto, può essere compiuto da ogni cittadino con i mezzi che ha a disposizione. Io lo faccio con la fotografia.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Continuerò a dare voce ai fenomeni di marginalità sociale, attraverso questa commistione di fotografia e fumetto. La trovo una tecnica efficace per descrivere il nostro tempo. In tal senso, sto portando avanti un lavoro sulla marginalità sociale (tossicodipendenza, prostituzione). Il mio obiettivo è quello di concentrarmi sulle periferie in senso lato. Anche Paradiso Italia non è solo una storia d’immigrazione, bensì di ghettizzazione sociale.