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REVIEWSLE RECENSIONI
22/01/2024
Andrea Amati
Passo dopo passo
"Passo dopo passo", il nuovo album di Andrea Amati, procede per istantanee e racconti di vita, avendo sempre a cuore la verità e l’autenticità di ciò che ci permette di andare avanti.

Sono passati cinque anni dall’ultimo disco in studio ma le priorità di Andrea Amati sono rimaste le stesse, ben focalizzate nei temi di cui parla nelle sue canzoni. Se Bagaglio a mano intendeva riflettere su ciò che davvero vale la pena di portarsi dietro nel viaggio dell’esistenza, Passo dopo passo affronta questa stessa esistenza in modo graduale, procedendo per istantanee e racconti di vita, avendo sempre a cuore la verità e l’autenticità di ciò che ci permette di andare avanti.

Si fa sul serio insomma, perché la vita è una cosa seria e scrivere canzoni lo è ancora di più, a maggior ragione in questo presente quasi distopico, in cui liquidità e frivolezza sembrano farla da padrone.

 

È successo un po’ di tutto in questi cinque anni, che non sono più un periodo di tempo raccomandabile da far trascorrere, in un momento in cui pare quasi obbligatorio pubblicare un brano ogni settimana come condizione unica per provare al mondo di esistere ancora.

Andrea, da artista per vocazione e non per mestiere, se n’è abbondantemente fregato: al di là della pausa forzata del Covid, che ha scombinato i piani di tutto il settore musicale, a tenerlo impegnato sono stati soprattutto gli spettacoli su De André e Battiato che da tempo porta in giro per la sua Romagna e non solo. Riletture personali, niente affatto filologiche, testimonianza di una passione che è poi in stretta continuità con quella che lo porta a scrivere le sue canzoni.

 

Passo dopo passo è dunque uscito fuori così, esattamente come dice il titolo: un pezzo alla volta, prima in forma di demo con i musicisti che lo affiancano da sempre, poi in studio con la stessa squadra e qualche ospite, nel tentativo di dargli la forma definitiva. Un lavoro lungo, con questi dieci brani che sono frutto di vari momenti della storia del suo autore, ma che hanno poi trovato una collocazione sensata all’interno di un percorso tutto sommato omogeneo e coeso.

Merito di Andrea e del gruppo che lo ha realizzato, a partire dal chitarrista Massimo Marches, presente anche in veste di produttore e di coautore dei testi (a questo giro scritti a sei mani, con l’apporto aggiuntivo di Daniele Maggioli), Stefano Zambardino a pianoforte, tastiere e fisarmoniche, nonché il “solito” Federico Mecozzi a violino e viola, in passato determinante nel plasmare il sound di Amati, a questo giro un po’ più defilato ma sempre comunque di grande peso, quando interviene. Niente batteria, per una scelta di arrangiamento che da una parte privilegia la dimensione acustica e “calda” di chitarre e pianoforti, dall’altra inserisce, forse più che in precedenza, discrete dosi di elettronica, affidando il ruolo di mantenere il ritmo alle percussioni suonate sia da Marches che da Zambardino; unica eccezione, il brano di apertura “Senza filtro”, dove dietro le pelli si trova Marco Montebelli.

 

Come sempre il lavoro di scrittura è eccellente, cantautorato ben radicato nella tradizione ma dal respiro moderno, con le influenze Rock e Pop a fare capolino a più riprese, il tutto sostenuto da una prova vocale come sempre magnifica, sia dal punto di vista tecnico che da quello espressivo.

Non ci sono grossi cambiamenti rispetto al disco precedente, anche se colpisce trovare qualche piccola novità nella formula: “Come la fine di una guerra” ricorda molto lo stile di Vasco Brondi, tesa e urgente nelle strofe, con chitarra acustica e percussioni in cassa dritta a dettare il ritmo, si apre poi in un ritornello rallentato e arioso, che lascia intravedere un filo di speranza in un quadro nel complesso piuttosto grigio; la title track si muove su una vena a tratti apocalittica, inserendo un tema sociale da cui la scrittura di Andrea si era quasi sempre tenuta lontano (eccezion fatta per “La resistenza”, su Via di scampo) e presenta intenzioni e melodie più drammatiche rispetto al resto del disco. Poi c’è la conclusiva “Dentro me”, che sperimenta un po’ di più con le voci, in un insolito finale a canone.

 

Il resto è una summa di quello che l’artista di Santarcangelo ci aveva già fatto sentire sui lavori precedenti, qui declinati in quella maggiore dose di maturità e consapevolezza che questi cinque anni inevitabilmente hanno portato. Cantautorato classico e tradizione popolare risultano ben amalgamati in “Prima che diventi giorno” e “Reali d’Inghilterra”, entrambi canzoni d’amore ma radicalmente diverse nella fase della relazione che viene narrata; “Costellazione” è quella dove è maggiormente presente la lezione della grande canzone italiana, mentre “Ahi ahi ahi che malinconia la fine dell’estate” introduce toni quasi scanzonati su uno sfondo da ballata di Folk mediterraneo, con tutto il guazzabuglio di emozioni che si porta dietro l’arrivo dell’autunno in una località di mare.

E poi “Santiago”, ispirata al celebre cammino verso la città della Galizia, che Andrea ha compiuto qualche anno fa e che ha funto, come lui stesso ha dichiarato, da punto di partenza per iniziare a scrivere questo lavoro: si respira un’atmosfera ariosa, quasi a rievocare l’ampiezza degli spazi attraversati, ma permane al contempo una sottile inquietudine, che neanche la certezza della meta riesce a lavare via (“Andare sì, ma in quale direzione?”).

 

Passo dopo passo è il disco della maturità di Andrea Amati, un lavoro che riaggiorna le basi e fa capire come, pur con i soliti ingredienti a disposizione, si possano combinare cose egregie, a patto che ci sia il talento. Speriamo solo di non dover aspettare altri cinque anni per avere il prossimo.