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REVIEWSLE RECENSIONI
17/10/2023
Giorgio Canali & Rossofuoco
Pericolo giallo
“Pericolo giallo” è il nuovo album di Giorgio Canali e Rossofuoco. “Il solito disco di Giorgio Canali” diranno in molti, ma che nell’universo musicale di oggi esista ancora uno come lui è qualcosa di cui essere profondamente grati.

Fa piacere che Giorgio Canali abbia ritrovato una vena prolifica, dopo gli anni di silenzio trascorsi tra Rojo (2011) ed Undici canzoni di merda con la pioggia dentro (2018). Pericolo giallo arriva infatti poco meno di tre anni dopo Venti, disco ispiratissimo nonché punto di vista a tratti estremo ma non certo trascurabile sulla società italiana nella prima ondata di pandemia.

Questo nuovo lavoro risente di un quadro mutato ma, se possibile, offre un ritratto ancora più impietoso del nostro paese e degli umori che lo percorrono.

Giorgio Canali è un artista scomodo, lo è sempre stato, non diciamo certo una novità: senza filtri, cresciuto nella cultura della sinistra emiliana ma decisamente più anarchico nello spirito, dichiara senza problemi di non votare da decenni e ha sempre avuto posizioni che potremmo eufemisticamente definire “fuori dal coro” su temi mainstream come Resistenza e Antifascismo. Negli ultimi anni ha, se possibile, allargato il tiro, prestando il fianco a chi da tempo lo accusa di essersi appiattito su deliranti narrazioni complottiste.

La verità è ben diversa, per come la vedo io: alcuni tratti del suo pensiero sono effettivamente eccessivi e ricordo benissimo che l’ultima volta che lo intervistai ci furono alcune sue affermazioni da cui non potei evitare di prendere le distanze. Eppure, se si supera la scomodità di fondo e la violenza con cui vengono espressi certi concetti, è innegabile che al cuore del suo pensiero ci sia fondamentalmente la denuncia della scomparsa dello spirito critico, l’omologazione del pensiero, l’allineamento alla versione ufficiale, sull’onda di una paura dovutamente amplificata dai media (il “pericolo giallo” del titolo, che si riferisce alle primissime reazioni anticinesi alla diffusione del Covid ma che, come viene detto efficacemente nella title track, potrebbe assumere tanti altri colori).

Se la teoria della strategia pianificata da un fantomatico “grande vecchio” è senza dubbio esagerata, rimane il fatto che, nelle sue linee essenziali, la fotografia dell’ex C.S.I. risulti perfettamente a fuoco.

 

Al centro c’è la guerra in Ucraina, di cui viene messo in evidenza il cortocircuito ideologico che ha provocato sia a destra sia a sinistra, con partiti di tradizione filoputiniana che votano con entusiasmo l’invio di armi, e formazioni pacifiste che si schierano decise sotto l’ombrello della NATO (“La tua bandiera della pace ha solo due colori” dice eloquentemente nella sarcastica “La guerra di Pierrot”). Omologazione, appunto, con il paventato timore di un ritorno dell’olocausto nucleare a rendere impossibile conservare tutte le sfumature di complessità che una vicenda del genere per forza di cose si porta dietro.

C’è poi sempre il tema della Resistenza, che per Canali dovrebbe avere un carattere militante e che invece viene relegata a mera contigenza storica da celebrare retoricamente ogni anno. Da questo punto di vista, i settant’anni di storia italiana che vengono passati in rassegna nella ritmata “Morti per niente” vengono riempiti da un compendio spietato di stragi, violenze di piazza e attentati, tradimento effettivo delle promesse di rinascita del dopoguerra, a prescindere che ci sia stata o meno una regia occulta (cosa che l’autore fa mostra di credere, il sottoscritto decisamente no).

Dal punto di vista squisitamente musicale, sempre che i due elementi possano essere separati, le coordinate restano immutate: ai tempi di Venti Giorgio mi disse di aver lasciato nel cassetto diversi altri pezzi, non è escluso che qualcuno sia ora stato rispolverato, anche se il fatto che le registrazioni si siano svolte tra il marzo e l’aprile di quest’anno non depone a favore di questa tesi.

È comunque difficile, se non impossibile, andare in cerca di elementi di novità all’interno di una proposta disco dopo disco sempre aderente ai propri stilemi: ancora una volta va evidenziato lo splendido lavoro d’insieme svolto da una formazione sempre più affiatata, assolutamente devastante nel momento in cui viene lanciata a briglie sciolte. È in particolare il lavoro di chitarra di Stewie Dal Col ad impreziosire brani di per sé ottimamente scritti, e la forza della sezione ritmica, con la solita accoppiata Marco Greco/Luca Martelli a fare sfracelli. Canzoni rock e nulla più, gli elementi melodici sono più o meno sempre quelli, ma il tiro e la forza espressiva ce li rendono ancora una volta degni di ascolto.

 

Rispetto a Venti c’è forse meno ispirazione e qua e là si gira a vuoto (l’opener e primo singolo “C’era ancora il sole”, pur gradevole, non è troppo incisiva, “Meteo in quattro quarti” e “Quando si spegne il sole” sembrano più che altro delle outtake) ma il resto del disco vive della grandeur e della potenza proverbiali dei Rossofuoco. Forse con un pizzico di apertura e luminosità in più, per quanto possa sembrare assurdo, conoscendo il personaggio: se pure la già citata “Morti per niente”, “Un filo di fumo” o “Pulizie etiche” hanno chitarre fede e trasudano una non meglio precisata atmosfera sofferente e apocalittica, altrove (“Pericolo giallo”, “Come si sta”, “Cosmetico”) ci si lascia andare ad accordi più aperti e ad un andamento vagamente scanzonato, nonostante i testi non offrano certo elementi per cui stare allegri.

A fare la differenza è probabilmente la diversa condizione dell’autore, perché se il lavoro precedente trasudava sofferenza e malessere esistenziale, Pericolo giallo, pur non mutando la vena rabbiosa e disillusa del concept, mostra un io narrante senza dubbio più in pace con se stesso.

La conferma la danno due brani come “Stupida poesia”, canzone d’amore in senso stretto che per quanto cerchi di non prendersi troppo sul serio è evidentemente intrisa di benessere e gratitudine, e “A occhi chiusi”, che fonde efficacemente privato e politico, dichiarando come negli occhi della persona amata vengano cancellate tutte le brutture e le storture del mondo.

C’è anche un contributo esterno in sede di scrittura, con “La fine del mondo” firmata da Aleph Viola (che di mestiere fa l’attore ma si diletta anche a fare musica) ed interpretata in maniera convincente dall’intera band, con lo stesso Viola ospite su chitarra e tastiere.

“Il solito disco di Giorgio Canali” diranno in molti. Ed è assolutamente così. Che nell’universo musicale di oggi però esista ancora uno come lui è un qualcosa di cui essere profondamente grati.