Alessandro Sgobbio, Campus PoliMi Bovisa
Danilo Rea, Giardino IULM
Carlo Boccadoro (suona Einaudi), ADI Design Museo del Compasso d’Oro
John Foxx, Giardini della GAM
Piano City Milano è un festival di musica per pianoforte che si tiene annualmente a Milano, della durata di un week end. Nato nel 2012, il festival nasce con l’idea di portare la musica fuori dalle sale da concerto tradizionali, rendendola accessibile a un pubblico non solo specialistico, ma alla generalità degli amanti della musica. Milano, dunque, durante i giorni di questa kermesse, diviene una città-palcoscenico con venue inusuali: giardini, luoghi di cultura, musei, e persino case private.
Sinceramente, per lungo tempo ho “snobbato” questa manifestazione ,ma mi hanno insegnato che la realtà è ostinata e dunque se una cosa è bella e vale, tale valenza è oggettiva; quindi, il problema non è il valore della cosa in sé, ma della natura del soggetto che si rapporta con la cosa.
Così, poiché anche quest’anno Piano City Milano ha offerto quasi 200 concerti e/o eventi gratuiti che spaziano tra diversi generi musicali: dalla musica classica al jazz, dal pop al rock, sino alla musica contemporanea, andando contro il mio pregiudizio, ho deciso di partecipare ad alcuni concerti frutto di una scelta assolutamente personale.
Data la “compressione” degli eventi, rimane il rammarico di non aver potuto partecipare ad alcuni concerti (penso all’esibizione di Cleo T. che presentava il suo ultimo album Des Forêts et des Rêves alla mezzanotte del 24 maggio al Teatro Parenti, o il concerto all’alba di Angelo Trabace (la recensione del suo ultimo album Abbash la troverete in altre pagine di Loudd) oppure ancora all’evento di Francesco Santalucia e Francesco Taskayali ai Bagni Misteriosi e ad alcune esibizioni di musica classica (tra cui il programma (stra)romantico di Michael Bulychev Okser a Villa Scheiber) ma così è la vita.
Prendete questo live report come una sorta di appunto di viaggio; prima, tuttavia, penso sia utile parlare dello strumento di elezione del festival, ovvero il pianoforte.
Il pianoforte ha una storia lunga e affascinante che inizia con il suo antenato: il clavicembalo.
Il clavicembalo, strumento la cui letteratura musicale è vastissima, tuttavia, soffre di una limitazione di natura tecnica, ovvero il suono “monocorde”, dovuto al fatto che le corde vengono pizzicate da plettri.
All'inizio del XVIII secolo, Bartolomeo Cristofori, un costruttore di strumenti italiano, inventò il "gravicembalo col piano e forte", un clavicembalo che permetteva di variare l'intensità del suono tramite la pressione dei tasti a mezzo di martelletti che, anche attraverso una serie di smorzatori, rendono il pianoforte maggiormente versatile e capace di esprimere una vasta gamma di dinamiche rispetto al suo predecessore.
Grazie alle sue gamma di armoniche molto più estesa, il pianoforte si diffuse rapidamente in Europa. Compositori come Bach, Mozart, Beethoven e Schubert scrissero opere che fanno parte del patrimonio musicale universale (si pensi ad un vertice assoluto come i concerti di Mozart, le sonate per pianoforte di Beethoven, i Momenti musicali e gli Improptus di Schubert).
Durante il periodo romantico, i pianoforti divennero più grandi e potenti per venire incontro alle esigenze degli artisti come Chopin, Liszt, Schumann e Brahms.
La versatilità di tale strumento non conobbe arresto neppure con l’avvento di nuovi generi musicali come il jazz (l’elenco di grandi pianisti jazz sarebbe infinito) e il rock (Fats Domino, Jerry Lee Lewis, Little Richard) e con il sopravvento di tecniche di interpretazione dove trova ampio spazio l’elemento percussivo della tastiera, rispetto ad una ricerca musicale più suggestionata dalle nuances timbriche che troviamo di nuovo in auge nella musica ambient e neo-classical.
La fortuna del pianoforte è stata anche la possibilità di utilizzare la cassa armonica come strumento in sé per sé; gli amanti dell'avanguardia ricorderanno gli esperimenti di John Cage, ovvero l’inserimento di oggetti (pezzetti di carta, strisce o piastrine di metallo ed altri oggetti) che vibrando all’unisono alle corde, alterano il suono dello strumento.
In realtà la paternità del piano preparato non è del famoso studioso musicale americano, in quanto già prima di lui, il compositore Henry Cowell compose dei pezzi in cui per far risuonare le corde non vengono utilizzati i tasti del pianoforte ma le stesse vengono percosse direttamente con le dita o con barrette di metallo.
E ancor prima già Erik Satie esperimentò il piano preparato nell’opera La Piège de Mèduse; insomma, la ricerca musicale ha cercato di ampliare via via le possibilità offerta da tale strumento a tastiera, cosicché la frontiera della sperimentazione del e sul piano oggi si situa nell’inter-azione tra questo strumento musicale ed i live electronics ovvero la produzione e/o manipolazione elettroacustica dei suoni live durante l’esecuzione.
Alessandro Sgobbio, 23/05/2025, Campus PoliMi Bovisa
Il mio fine settimana pianistico inizia alle 13 di venerdì 23 maggio al campus Bovisa del Politecnico di Milano con Alessandro Sgobbio, un pianista jazz che oramai da anni è di stanza in quel di Parigi. Peraltro, lo stesso giorno Alessandro ha pubblicato l’ultimo album di una trilogia denominata Piano Music, Piano Music 2 e, ultimo nato, Piano Music 3.
Il recital ha visto il pianista suonare vari pezzi tratti dalla trilogia sopra indicata tra cui "Fireflies" (dedicata ai suoi genitori) e "Ghaza" (con dedica sincera e condivisibile al dramma che sta vivendo la città e i bambini che vi abitano) tratte dal primo Piano Music.
Dell’ultimo album (Piano Music 3) meritano una citazione sia il brano introduttivo "De Dei Dono", il cui titolo è ispirato ad un mosaico presente nella Basilica di Aquileia - un ottagono posto nell’arcata settentrionale della Chiesa che ha conglobato le cosiddette Aule Teodosiane, ovvero delle stanze costruite agli inizi del IV secolo di cui sono appunto sopravvissuti i mosaici, dove è possibile leggere l’iscrizione IANVARIV(s) / DE DEI DONO V(ovit) / P. DCCCLXXX (Ianuario con i doni di Dio fece l’offerta votiva di piedi quadrati ottocento).
L’altro brano proposto nel corso dell’esibizione meritevole di un accenno è "Forte Rocca", personale rivisitazione dall’inno "Ein feste Burg ist unser Gott (Forte Rocca è il nostro Dio)" composto da Martin Lutero nel 1529, la cui esecuzione dal vivo esalta il lato percussivo e l’utilizzo della cassa e delle corde suonate con le mani, da parte del pianista.
Concerto che mi è molto piaciuto e concluso con una veloce chiacchera con Alessandro di cui consiglio l’ascolto dei dischi sopra citati.
Danilo Rea, 24/05/2025 Giardini IULM
Danilo Rea, per i pochi che ancora non lo conoscessero, è un pianista jazz italiano noto per la sua tecnica eccezionale e la sua capacità di fondere diversi generi musicali nel corso dei suoi concerti di improvvisazione. Rea, nel corso di una carriera oramai da lungo avviata, è diventato una figura di spicco nel panorama jazzistico italiano e internazionale, collaborando con numerosi artisti di fama mondiale, tra cui Chet Baker, Lee Konitz e tanti altri.
Avendo avuto già la possibilità di ascoltare dei recital di Danilo Rea (penso da ultimo a Bollate nel 2023) ciò che mi colpisce di questo interprete è la capacità di suonare musica a 360 gradi.
Anche nell’esibizione al Roseto dello Iulm il pianista vicentino ha fatto “sfoggio” dell’enciclopedica conoscenza musicale che gli permette di spaziare dal jazz classico (e non solo) al pop, dalla musica classica alla canzone italiana. Ogni volta rimango basito della capacità di improvvisazione (e della virtuosità nel legare i vari brani) e di una sensibilità musicale molto raffinata che lo rendono un interprete unico.
A conferma di quanto sopra basti pensare che nel flusso sonoro che ha offerto nell’esibizione di circa un’ora viene offerto e richiesto al pubblico (ovviamente per chi ne possiede le competenze) di decifrare le continue citazioni che, nel caso specifico, hanno riguardato anche "Strada facendo" di Baglioni, "4/3/43" di Dalla, e un suo (oramai) classico come "Il Pescatore" di De André.
A grandissima richiesta, bis che inizia (e si chiude) con un classico latin jazz come "Tico Tico", passando per "Besami Mucho" con mini citazione di "Tu vuò fà l’americano" di Buscaglione.
Questi sono solo alcuni (pochi) dei brani suonati, chi era presente ne avrà individuati sicuramente molti altri che io, ad orecchio, ho riconosciuto non ricordandomene i titoli.
Carlo Boccadoro, 25/05/2025, ADI Design Museo del Compasso d’Oro
Carlo Boccadoro è uno dei più noti compositori e direttori d'orchestra italiani contemporanei; dopo aver iniziato i suoi studi musicali presso il Conservatorio "G. Verdi" di Milano, ha percorso una lunga carriera che si lega alla storia dell'ensemble Sentieri Selvaggi, con il quale ha contribuito a promuovere la musica contemporanea in Italia e all'estero.
Sotto la direzione di Boccadoro, il gruppo ha eseguito opere di compositori minimalisti oramai notissimi anche al grande pubblico come Steve Reich, Philip Glass e John Adams
Mi ha sorpreso molto la decisione di riproporre integralmente l’album Underwater di Ludovico Einaudi, un autore che sicuramente ha segnato la diffusione del genere neo-classical al grande pubblico ma che, di solito, non viene quasi mai eseguito da altri musicisti.
È risultato dunque interessante ascoltare l’interpretazione di un autore “impegnato” di un repertorio “facile”, rispetto all’interpretazione offerta dall’autore.
Devo tuttavia rilevare come la venue scelta, ovvero l’atrio antistate il Museo del Compasso d’Oro, si è dimostrata troppo ridotta rispetto all’affluenza di pubblico, lo scrivente, ad esempio, per ascoltare l’esibizione ha adottato lo “stratagemma” di acquistare un biglietto per il museo, così da trovarsi dietro rispetto al “palcoscenico virtuale” (vedasi foto).
Penso difatti che la “nomea” di Einaudi (oltre al fatto della gratuità del biglietto, rispetto a quelli molto costosi del diretto interprete) abbia favorito un accesso numericamente inaspettato dagli stessi organizzatori.
Photo courtesy: Alessandra Getti
John Foxx, 25/05/2025, Giardini della GAM
Signori, qui si parla di storia.
John Foxx, nato come Dennis Leigh ben 78 anni orsono, è un musicista inglese che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni. Fondatore e frontman degli Ultravox, una delle prime band a combinare rock e musica elettronica. Band anticipatrice di quella che diverrà la new wave (gruppi come Depeche Mode, Gary Numan e The Human League hanno riconosciuto l'influenza di Foxx nel loro lavoro).
Dopo l’abbandono degli Ultravox, prima della svolta sempre più commerciale del gruppo, realizza il suo album di debutto, Metamatic (1980) che rimane uno dei lavori più iconici della musica elettronica degli ultimi cinquanta anni.
Personalmente, nella mia collezione, oltre al sopra citato album, ho anche una copia di The Garden (1981), The Golden Section (1983) e In Mysterious Ways (1985).
Successivamente a tali produzioni il musicista inglese ha collaborato con artisti come Harold Budd, Louis Gordon e tanti altri, divenendo un pioniere di una musica elettronica “soffice”, sempre in bilico tra ambient, reminiscenze classiche e ambientazioni eteree.
Per chi fosse interessato suggerisco altresì l’ascolto del box triplo contenente Translucence, Drift Music e Nighthawks.
Anche John Foxx ha pubblicato da poco il nuovo album Wherever you are, di cui ha eseguito nel concerto milanese alcuni brani, tra cui la title track e "A swimmer in a summer river".
Meritevole di citazione anche la trilogia iniziale "A formal arrangement", "Floral Arithmetic" e "Forgotten in Manhattan" tratta da The Arcades Project.
Vederlo suonare pezzi dei suoi album in versione piano solo (con le mani mosse da tremolii) mi ha da un lato commosso, anche tenendo presente le parole del musicista con le quali ha descritto così il suo ultimo lavoro:
“L’alba è il momento migliore per suonare il pianoforte. I meccanismi di autocritica sono per lo più dormienti, quindi posso inventare e godermi il momento. Il pianoforte è rivolto verso una finestra che guarda una valle circondata da colline, da dove sorge il sole. Spesso c’è una leggera nebbia nella valle - e spesso piove. Alcune note e suoni risuonano con esperienze passate e affiorano ricordi di tempi e persone. È qualcosa di prezioso. Silenzioso. Un’associazione libera, miriadi di momenti che orbitano - e poi si parte».
Photo courtesy: Alessandra Getti