Parlare del signor John Lydon non è impresa semplice: musicista, scrittore, personaggio televisivo, artista visivo, una specie di Leonardo Da Vinci con i capelli fluorescenti e la lingua biforcuta che è riuscito ad apporre per ben due volte la sua firma sul Libro Mastro della Storia del Rock: la prima con i Sex Pistols, in qualità di prototipo originale del punk rocker inglese, profeta dell'ideologia no future e polemico giullare ai danni dell'ipocrita società borghese britannica degli anni '70 e non solo; e la seconda con i Public Image Ltd. (universalmente conosciuti con l'acronimo PiL) con i quali vanta il titolo di ideatore del post-punk e la cui ombra lunga si proietta su tutta la new wave, l'alternative rock, l'indie e più in generale sulla musica popolare da quattro decenni a questa parte.
E proprio i PiL sono i protagonisti indiscussi della serata del 21 luglio 2025, terza e ultima data italiana del This Is Not The Last Tour e organizzata per l'occasione dai ragazzi del Mojotic Festival presso la splendida cornice dell'Arena del Mare del Porto di Genova, una graziosa conchiglia che dà le spalle alle acque del Mar Ligure, situata nella zona del Porto Antico.
Una volta all' interno dell'area concerti, mi accorgo di essere circondato da una variegata quanto variopinta umanità: ex-punk dal fisico sformato dalle troppe birre, seri professionisti che per un giorno si permettono di indossare in pubblico la t-shirt della band new wave del cuore al posto di giacca e cravatta, fino ad arrivare a ragazzini dalle pettinature improbabili tirate su a suon di colla di pesce che si sentono catapultati nella Londra di inizio anni '80. Il mio sguardo, però, viene calamitato dalla figura quasi fuori contesto di un uomo di mezza età vestito di bianco, con giacca rosa antico e paglietta in testa, che avrebbe potuto fare la comparsa in un film con Fred Astaire, sicuramente vincitore per distacco del premio "Astante Più Stiloso Della Venue". Insomma, come spesso capita quando si tratta dei vecchi leoni che hanno fatto la storia del rock il pubblico è a dir poco trasversale, a testimonianza di quanto la buona musica scavalchi ogni barriera culturale, sociale ed anagrafica.
Con un ritardo di circa un'ora rispetto al programma, sale sul palco il gruppo di apertura: si tratta di Kyoto, progetto guidato dalla cantante e polistrumentista Roberta Russo, che incanta la platea genovese con un ipnotico mix di rumorismo industrial, attitudine post-punk, martellanti ritmi techno e sonorità arabeggianti. Kyoto travolge con la sua oscura energia gli spettatori del Mojotic Festival e colpisce per la modernità delle composizioni e la raffinatezza degli arrangiamenti, in cui l'aggressività della parte percussiva viene ora stemperata, ora esasperata dalla voce di un violino pesantemente effettato, quasi violentato timbricamente.
Dopo un break a cura di DJ Ringo, che teletrasportatosi direttamente dagli studi di Virgin Radio fa ballare il pubblico con una selezione di dischi new wave, punk e garage, giunge il momento tanto atteso: le luci si spengono e sul palco dell'Arena del Mare mette finalmente piede Mr. John Lydon insieme ai suoi PiL.
"Home" è sia un brano granitico, perfetto per aprire la scaletta, che una dichiarazione d'intenti: il musicista britannico ha infatti perso negli ultimi due anni sia la moglie Nora che lo storico manager e confidente John "Rambo" Stevens, lutti al seguito dei quali ha dichiarato il suo ritiro dal mondo della musica, a cui ha però deciso di ritornare dopo le ripetute dimostrazioni d'affetto da parte dei fan. E questo tour ha proprio il sapore di un ritorno a casa.
Il riff quasi-metal di "Know How" e il groove primitivo di "World Destruction" iniziano a far battere timidamente il piedino al pubblico presente, che però esplode non appena la band entra a gamba tesa con la popolare "This Is Not A Love Song": nel giro di pochi secondi ci ritroviamo tutti a cantare il ritornello insieme al cantante inglese e vicino alle transenne si accende il primo vero e proprio pogo della serata, che non si fermerà fino alla fine dello show.
I PiL sono una vera sorpresa dal vivo: una ciurma di pirati dai visi solcati dalle rughe come mappe del tesoro incartapecorite, ma in grado di riempire l'aria di un'energia vibrante da fare invidia alla quasi totalità delle band più giovani. Il loro capitano Johnny è un Popeye con un mohawk giallo come un girasole che svetta sul capo altrimenti rasato, consumato da una vita sicuramente non all'insegna del salutismo, ma che non ha perso un decibel della sua voce graffiante e vanta ancora, a 69 anni suonati, uno strabordante carisma da vero anticristo anarchico.
Il concerto prosegue alternando la psichedelia lisergica di un brano come "Poptones", con l'ipnotica cantilena etnica di "Flowers Of Romance", per arrivare alla new wave più pop di "Body" fino al punk tiratissimo di "Public Image", pezzo non a caso scritto da The Artist Formerly Known As Johnny Rotten nel suo ultimo periodo di permanenza nei Sex Pistols alla fine degli anni '70 e primo successo dei Public Image Ltd., su cui simbolicamente si chiude l'esibizione della band britannica.
C'è ancora ovviamente spazio per qualche bis: John e i ragazzi si allontanano dal palco "per tre minuti, perché mi piace godermi la mia pausa sigaretta, ma voglio sentirvi fare casino qui sotto", per citare le esatte parole del cantante, ma la ripresa è al fulmicotone, con una versione infuocata di "Open Up", la fan-favorite "Rise" (sulla quale tutto il pubblico intona in coro come un mantra "ANGER IS AN ENERGY") e un devastante medley finale tra le taglienti "Annalisa" e "Chant".
È il momento dei saluti, che in puro stile punk consistono nello scambio affettuoso di insulti tra l'artista inglese e i presenti.
E mentre torno verso il parcheggio a recuperare la mia 500 scassata per affrontare il lungo viaggio verso il Piemonte, stanco e sudato ma con il sorriso stampato in faccia, l'unico pensiero che solca la mia corteccia cerebrale è: bentornato a casa, John.