“Qualunque cosa accadrà, balleremo sotto la pioggia”.
(Clémentine Delauney su "Tonight I’m Alive")
Dopo Pirates, album che nel 2022 ha dominato i mari e gli oceani delle classifiche mondiali, i Visions of Atlantis tornano più carichi che mai con nuove gesta, raccontate e vissute con tutta l’energia e la magia del Metal sinfonico.
Come raccontava una citazione il cui autore si è perso tra le nebbie del tempo, “ci sono storie che verranno raccontate, portate dal vento attraverso gli anni, senza tempo”, e così anche il nuovo album della band austriaca ci proietta verso nuove prospettive illuminate dalla coltre dorata dei lati sconosciuti delle emozioni, orizzonti da valicare con uno sguardo nuovo rivolto all’esistenza. Mani ferme sul timone quindi e pronti a mollare gli ormeggi.
Il viaggio inizia con “To those who choose to fight”, la dea audace della guerra che in noi alberga, di coraggio vestita, viene verso di noi e col suo ammaliante canto ci prende per mano conducendoci verso nuove battaglie e concetti ravvivati in noi da impreziosire. “Pray for the strong, pray that they see the pure light of dawn”.
In “Land of free” appare chiaro il viso delle conseguenze, i cui lineamenti portano alla terra dei liberi dove non vi è nessuna bussola da seguire, luogo da molti bramato che rammenta di buttar via la chiave, quella che apre lo scrigno del nostro cuore e declama a chiare lettere di smetterla di seguire timori chimerici e divenire più valorosi: “Where my mind is feared and my heart is wild”.
“Monsters” invece ci spinge oltre, dove talvolta le nostre certezze sono attaccate dal kraken, la nostra parte distruttrice, ed è in questi frangenti che, guidati da un potente assolo, sentiamo “scorrere il fiume della vita”, rimembrando di far proprio questo mantra: “Find the will to live, find a way to break the chains”.
“Hellfire” si manifesta attraverso un’immagine: il fuoco sacro dell’ardimento, che inizialmente scalda l’anima lentamente per poi divenire un incendio indomabile, degno delle fiamme eterne dell’inferno, quello stesso fuoco capace di ribaltare il destino e portare a sfidare se stessi incarnando le proprie paure: “Burn, burn, burn, hold your breath and pull the trigger”.
Seguono “Tonight I’m alive”, “Armada”, “The dead and the sea” con la sua solennità, “Ashes to the sea”, “Collide”, “Magic of the night”, “Underwater” e “Where the sky and ocean blend”, dove si rimane particolarmente stregati da “Underwater”, come Ulisse dal canto delle sirene, perché ci introduce all’interno di noi stessi, anima dolcemente ma con tocco deciso i lineamenti della speranza, sentimento pronto a risorgere dalle acque della coscienza: “You are the fire that keep me alive”.
Come non terminare di solcare gli oceani sconfinati di questo album se non avvalendosi dell’ausilio di una frase di un film molto caro a chi scrive, tanto che assurge quasi a pensiero guida, di saggezza vestito per i giorni di tempesta.
“Perdersi è l’unico modo per trovare un posto che sia introvabile, altrimenti tutti saprebbero dove trovarlo” (Pirati dei Caraibi: Ai confini del mondo, 2007)