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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/06/2025
Live Report
Porridge Radio, 12/06/2025, Santeria, Milano
Il concerto di addio ai Porridge Radio è anche un piccolo manuale di eleganza, bravura e serenità, su come poter chiudere un'esperienza con gioia, assieme al proprio pubblico e in armonia tra i componenti. In apertura Giungla, che invece testimonia un'interessante nuovo inizio.

La notizia dello scioglimento dei Porridge Radio ci ha colti di sorpresa, anche perché è arrivata nella contingenza meno adatta a decisioni simili: la band di Brighton, che la maggior parte di noi aveva scoperto in pandemia con l’uscita del secondo disco Every Bad, viaggiava ormai a pieno regime ed era considerata tra le realtà più importanti della nuova scena Indie Rock.

Cosa sia successo rimane ancora un mistero ma, più probabilmente, una vera e propria spiegazione non c’è: Dana Margolin ha dichiarato che sentiva la necessità di mettere fine ad un’avventura con la quale avvertiva di avere detto tutto quel che c’era da dire. È nella natura delle cose, insomma, e dopotutto non sta scritto da nessuna parte che le band debbano andare avanti decenni, ripetendo se stesse all’infinito e mostrando sui palchi una vecchiaia stanca e disadorna. Da questo punto di vista, meglio finirla qui, quando si è ancora giovani e pieni di energie, e soprattutto quando si è ancora in possesso di una discografia priva di giri a vuoto.

E così, in attesa di scoprire che cosa succederà dopo, ci ritroviamo tutti assieme per l’ultima volta, un ultimo giro di saluti che per il nostro paese si svolgerà in tre tappe (Milano, Ferrara, Roma) più una coda a Ypsigrock il prossimo agosto; l’occasione è anche quella di ascoltare dal vivo i brani dell’ultimo Clouds in the Sky They Will Always be There For Me, quarto disco del gruppo, per chi scrive il loro migliore, l’asperità e la ruvidezza istintiva degli esordi (caratteristiche che hanno contribuito non poco a conquistare pubblico e addetti ai lavori) che hanno ormai lasciato il posto a una calma introspettiva e ad una capacità tutta cantautorale di elaborare il proprio vissuto. Pochi mesi fa è uscito anche The Machine Starts to Sing, un EP che raccoglie quattro brani provenienti dalle session del disco ma che erano rimasti fuori dalla tracklist: il viaggio, a quanto pare, può dirsi completo.

 

È un Santeria ancora mezzo vuoto (e con l’aria condizionata sparata a mille, per fortuna!) quello che accoglie il set di apertura di Giungla. Avevo seguito il progetto di Emanuela Drei agli esordi, e mi era capitato di vederla diverse volte dal vivo, anche in compagnia di M¥SS Keta, con la quale ha suonato la chitarra in alcuni tour. Negli ultimi tempi l’avevo persa di vista, tanto da non sapere che avesse pubblicato un disco d’esordio, Distractions, uscito lo scorso novembre per Factory Flaws (la sua etichetta storica, a quanto ricordo) Contrariamente agli inizi, quando suonava da sola con l’ausilio di basi, adesso si presenta con una band: Arianna Pasini al basso e Giovanni Todisco alla batteria, un assetto che rende decisamente più dinamica e interessante la performance.

Rispetto a come la ricordavo, la chitarra non è più in primo piano e a risaltare sono maggiormente le canzoni, sempre ispirate a un rock alternativo ben radicato negli anni ’90, tra riff anthemici e hook efficaci. Scrittura piacevole, bel tiro ed ottima prova vocale: se ne accorge anche il pubblico, che nel frattempo ha iniziato ad arrivare e che saluta con ovazioni entusiaste le varie esecuzioni. Devo tornare decisamente ad ascoltarla.

 

È significativo che i Porridge Radio inizino il concerto con “Sick of the Blues”: è il brano conclusivo dell’ultimo disco e arriva come una liberazione dopo un itinerario di crisi e sofferenza; utilizzarla in apertura assomiglia molto a una dichiarazione d’intenti: siamo pronti a lasciarci tutto alle spalle, siamo pronti a concludere la nostra avventura senza ripensamenti o sensi di colpa.

Dana Margolin ha ormai i capelli sempre più lunghi e, se l’avessi incrociata al bar cinque minuti prima non l’avrei riconosciuta (ma forse è il mio problema cronico con la fisionomia), la tastierista Georgie Stott ha cambiato pettinatura (o così mi sembra), c’è un nuovo bassista, Dan Hutchins, mentre il batterista Sam Yardley si dimostra vincitore assoluto scegliendo di presentarsi con una maglietta dei Death del mai troppo compianto Chuck Schuldiner.

A rimanere identica è la loro carica dal vivo: il concerto è potente, intenso, a tratti spensierato, a tratti struggente, guidato da una Margolin in forma smagliante, rilassata e mai così a proprio agio, e da una band che non è semplicemente la sua ma un gruppo di musicisti affiatato e coeso, indispensabile nel modellare le canzoni uscite dalla penna della cantante.

È la voce a guidare il tutto, più controllata rispetto agli esordi ma sempre capace di passare dai toni soffusi alle urla rabbiose e sofferte, mentre le tastiere di Stott realizzano gran parte della costruzione melodica, uscendo quasi sempre vincitrici nell’interazione con la chitarra. Importanti le armonie vocali, molto più presenti rispetto al passato, ed è sempre Stott ad occuparsene, la sua intesa con Margolin appare perfetta per tutto il concerto.

I quattro suonano compatti e puntano tantissimo sull’alternanza tra piani e forti, nonché sulle esplosioni di rumore che vanno ad impreziosire anche alcuni di quei brani che nella versione in studio apparivano più compassati. Da questo punto di vista Sam Yardley si dimostra una vera forza della natura, col suo drumming mai banale, che esalta le dinamiche di ogni singola traccia.

 

La setlist è incentrata pesantemente sull’ultimo album, che viene eseguito quasi per intero, assieme a due tracce dell’EP, “Don’t Want to Dance” e la lunga e eterea “Machine Starts to Sing”. Potrebbe apparire strano che, proprio in occasione di un tour d’addio, si decida di congedarsi quasi esclusivamente con le canzoni nuove, piuttosto che fare una sorta di best of del proprio repertorio; se però la si guarda nell’ottica del racconto di un’esperienza, e non solo nei termini di un semplice fan service, potrebbe avere senso: la maturità raggiunta, la maggiore consapevolezza di sé che queste canzoni riflettono, sono giustamente la migliore fotografia che si potrebbe voler lasciare al proprio pubblico come una sorta di testamento spirituale.

Del resto, le canzoni di Clouds in the Sky… (titolo quanto mai profetico, ad ogni modo) dal vivo sono fantastiche, sia che si tratti dello struggimento emozionale di “Wednesday”, dell’ipnotica psichedelia di “In a Dream I’m a Painting”, o delle melodie contagiose di “Anybody”, “A Hole in the Ground” e “God of Everything Else”, nonché del mantra ossessivo di “You Will Come”; in tutti i casi, l’intensità e l’urgenza di queste esecuzioni ci ha veramente lasciati a bocca aperta, suscitando anche un certo rimpianto per il fatto che questa avventura debba concludersi proprio ora che i quattro sembrano aver raggiunto l’apice delle loro abilità performative.

Arriva comunque anche qualcosa di vecchio: “Sweet” è stranamente l’unico estratto da Every Bad, mentre risultano molto gradite due chicche come il singolo “7 Seconds” (tra le melodie più azzeccate della loro carriera) nonché “Good For You”, scritto assieme a Lala Lala. La conclusione è poi tutta all’insegna del precedente Waterslide, Diving Board, Ladder to the Sky: l’anthem “Back to the Radio”, come sempre tirata e coinvolgente, chiude il set regolare, mentre i bis si aprono con una versione della title track suonata da Dana in solitaria e si chiudono con una “The Rip” particolarmente liberatoria, forse il saluto migliore che potesse esserci ai propri fan.

 

Significativo il gesto di chiusura, con i fogli delle setlist raccolti dal palco, modellati come aeroplani di carta e fatti volare sopra al pubblico (con scarsissimi risultati ma è il pensiero che conta). In precedenza Dana, in una delle pochissime volte in cui si è rivolta ai presenti, ha raccontato che quella mattina sono arrivati in aereo dalla Francia sorvolando le Alpi, un’esperienza bellissima che, ci tiene a dire, hanno fatto tutti insieme.

Sta qui, probabilmente, il senso di questa separazione: che si possa terminare qualcosa senza per questo dover recriminare, che ci si possa dire addio pur nella coscienza di essere ancora in unità.

Non sappiamo che cosa succederà adesso: probabilmente Dana Margolin intraprenderà una carriera solista e, considerate le sue doti, siamo sicuri che andrà benissimo. A noi non resta altro che dire grazie per i Porridge Radio: sono esistiti per troppo poco tempo ma ci hanno regalato dischi e concerti bellissimi; questo ci basta e di più non chiediamo.