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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
22/08/2022
Booker T.
Potato Hole
L’autore dell’immortale Green Onions insieme agli epici M.G.’s, pubblica nel 2009 Potato Hole, affascinante disco solista che si aggiudica un Grammy come miglior album strumentale. Aiutato dall’amico Neil Young e da una band di poderosi rockettari come i Drive-By Truckers, Booker T. Jones, storica anima della Stax degli esordi, confeziona un gioiellino, ove emerge tutta la magia del suo Hammond organ, felicemente circondato da un tripudio di chitarre.

Ci sono un canadese e un uomo di colore del profondo sud negli Stati Uniti, con un gruppo di giovincelli che potrebbero essere loro figli… parrebbe il principio di una barzelletta, invece è l’inizio di una bellissima storia di musica e amicizia che ha condotto alla realizzazione di un disco da ricordare.

Tutto ciò accade quando Booker T. Jones ha già alle spalle una carriera entusiasmante. Non solo ha accompagnato con i suoi M.G.’s i più grandi, da Otis Redding a Sam & Dave, senza scordare Albert King, Eddie Floyd e Wilson Pickett, ma proprio lui è uno dei creatori per eccellenza del Memphis Sound, quella fantastica mescolanza di generi che incorpora soul e r&b abbracciando gospel nero, blues e country. "Green Onions", "Soul Dressing", "Boot-Leg" e "Hip Hug-Her" sono alcuni dei capolavori usciti da Jones insieme a Steve Cropper, Al Jackson e Donald “Duck” Dunn, con quest’ultimo subentrato al bassista Lewie Steinberg nel 1965, tre anni dopo la formazione del gruppo, e subito diventato parte integrante.

Le grandi qualità individuali, l’incredibile affiatamento e l’empatia musicale sono i punti di forza della band che, tra scioglimenti, cambi di etichette discografiche e reunion, viene indotta alla Rock & Roll Hall of Fame (1992) e rimane attiva fino alla morte di Dunn, nel 2012.

 

“Abbiamo lavorato sodo nel tempo per creare un nostro mood, un vero e proprio stato d’animo, un sentimento. Ci focalizziamo nel trasmettere queste forti sensazioni, che ci accomunano come musicisti, al pubblico. Si tratta di un qualcosa che ci viene dal di dentro, dal profondo dell’anima. Anche se ho studiato musica -Booker si è laureato all’Indiana University, n.d.r.- dal mio Hammond B3 non esce niente di schematizzato, è una questione di cuore”.

 

Questo risoluto “feeling” emerge anche in Potato Hole, atteso lavoro solista che giunge due decadi dopo Runaway (1989) e racchiude dieci autentiche gemme: sette ispirate, entusiasmanti composizioni autografe e tre appassionate ed azzeccate riletture. Booker Taliaferro Jones jr, classe 1944, talentuoso enfant prodige del Tennessee, nella sua vita ha suonato di tutto: oboe, sax baritono, trombone, piano, organo, xilofono e, ovviamente da buon produttore, pure basso e chitarra, spesso fondamentali per costruire l’intelaiatura degli arrangiamenti nelle sessioni in studio di registrazione. In questo album in particolare, oltre al pregiato Hammond, si concede proprio alla chitarra, acustica ed elettrica, nella title track, in "Nan" e in "Reunion Time", rendendo feroce il morso delle sei corde, che diventano ben cinque in quei brani, affollati dalle prestazioni di Neil Young, Mike Cooley, Patterson Hood e John Neff .

Booker strattona la sua tradizione e inzuppa le composizioni di rock, regalando inoltre qualche apertura al funk, ben spalleggiato, appunto, dal cantautore canadese e dai Drive-By Truckers, orfani ormai da un paio d’anni di Jason Isbell. "Pound It Out" e "She Breaks" scivolano via seguendo tali stilemi, come la sorprendente cover "Hey Ya!" degli Outkast, diventata parzialmente irriconoscibile causa un groove pazzesco - reso infernale dalle tonitruanti percussioni del veterano Lenny Castro -, che smorza l’attitudine hip-hop per colorarla di southern soul music. L’esperimento è riuscito, e dona contemporaneità e vivacità alla raccolta, pervasa dai riff brucianti di Young e dei chitarristi dei DBT, particolarmente incisivi in "Native New Yorker", che per più di un attimo fa ricordare il contenuto presente in quella perla di album del 1996, "Mirror Ball", ove il Padrino del Grunge si cimentava con i Pearl Jam.

 

“Hey Ya! è stato il primo pezzo con cui abbiamo giocato in studio. In un pomeriggio era già pronto, mentre Get Behind the Mule era da parecchio che cercavo l’occasione per eseguirla. Sono totalmente affascinato da Tom Waits, dalla sua magia. Spero di avergli reso merito”.

 

"Get Behind the Mule" è una straordinaria reinterpretazione tratta da Mule Variations (1999); Jones, ben consigliato dal coproduttore Rob Schnapf, ne accentua l’andatura blues, macinandola in un ombroso e spigoloso shuffle, coniugando forma e sostanza, spettacolarizzazione e introspezione, aprendo anche scenari onirici, che il buon Waits avrà sicuramente apprezzato.

"Nan" è invece un tenue acquerello, una rilassante ballata dedicata alla moglie, anticamera di una scatenata rockeggiante "Warped Sister", una delle vette dell’opera. Il potente drumming di Brad Morgan, il basso squadrato della bravissima Shonna Tucker si scontrano con il docile fraseggio creato dalla tastiera di Booker, senza nessun vincitore: a trionfare è la musica ed è emozionante ascoltare uno scatenato, intenso Neil Young. Il “ragazzo” è un instancabile cavallo da corsa, impaziente e incapace di aspettare l’inizio della gara dietro il cancello di partenza, e le sue scorribande sonore caratterizzano tutto l’LP.

 

"Reunion Time" certifica la varietà del repertorio in scaletta, abbracciando uno stile decisamente country, contraddistinto dalla pedal steel guitar di John Neff. Così Potato Hole si conferma brioso e mai noioso, anche se contrassegnato da motivi soltanto strumentali, e la canzone che dà il titolo al disco - un funky di quasi sette minuti dai marcati e incalzanti incastri ritmici pilotato da basso e percussioni spiritati -, ha pure risvolti sociali. È un termine che veniva utilizzato fin dai tempi della schiavitù e stava a significare i buchi che la gente di colore scavava nei pavimenti delle proprie capanne per nascondere cibo e carbone, praticamente il necessario per sopravvivere negli inverni rigidi”, racconta Jones, già ideatore in passato, insieme agli M.G.’s, di Up Tight (1969), toccante soundtrack, contenente l’hit "Time is Tight", di un film sui problemi del ghetto nel periodo successivo all’assassinio di Martin Luther King.

"Space City" chiude con naturalezza l’opera. Realizzata nel 2006 dai Drive-By Truckers in A Blessing and a Curse, viene ripresa in questa sede divinamente, seppur perdendo quella parte di romanticismo dovuta, nella versione originale, al cantato. L’organo di Booker T. è libero di scorrazzare nella melodia e niente meglio delle parole dell’artista descrivono l’approccio scelto: “Non sono molto interessato alle regole della musica. Vengo dal blues e un blues può avere 11 o 13 battute. "Space City" è concepita con questo principio di genuinità. Non si può vivere di schemi troppo rigidi, perché il pubblico in tale caso fatica a immedesimarsi. La base di tutto è la condivisione e ho applicato una concezione simile anche quando ho indossato le vesti di produttore, mi vengono in mente i classici "Just As I Am" di Bill Withers e "Stardust" di Willie Nelson. ”

 

Con Potato Hole, il caro Booker T. Jones è tornato indietro al groove di una volta, abbinato alla potenza delle nuove leve rock come i Drive-By Truckers, gente con un’anima. E gente come Neil Young ha fatto da collante, rendendo quest’esperienza unica e formidabile. Curiosità, voglia di osare e mischiare tradizione e modernità, sono ancora gli obiettivi del mitico tastierista, che, dopo esser rientrato in Stax Records con Sound the Alarm (2013), recentemente ha pubblicato una biografia e prodotto il notevole Serpentine Prison (2020) di Matt Berninger. E quest’anno, felice e posato come sempre, con il sorriso stampato su quel viso da furbetto, festeggia i sessant’anni di "Green Onions" con alcune date a Berkeley, in California, a fine agosto. Una carriera lunghissima, densa di soddisfazioni, cominciata, come spesso capita, grazie alla passione e al sentimento che un altro grande artista gli ha instillato nel cuore da giovane: il genio Ray Charles, suo grande idolo nel periodo in cui incideva per Atlantic Records. Potere della Musica.