Cerca

logo
Banner 2
REVIEWSLE RECENSIONI
09/09/2025
Deftones
Private Music
Dopo trent’anni di carriera, i Deftones tornano al loro meglio con Private Music. Il decimo album della band di Sacramento fonde pesantezza e delicatezza, alternando aperture melodiche a esplosioni sonore, e conferma che, nel 2025, Chino Moreno e compagni non sono mai stati così in forma.

Ammettiamolo: quando una band arriva al decimo album, il rischio di una delusione è sempre dietro l’angolo – ma con i Deftones, fortunatamente, non è così. Con trentasette (!) anni di carriera alle spalle e un percorso che li ha visti passare da outsider del nu metal (un termine che oggi, nel 2025, suona quasi assurdo) a colonne portanti di un sottogenere ribattezzato “baddiecore” (una tendenza nata su Reddit per descrivere band capaci di fondere sonorità heavy con elementi pop e un’attitudine sensuale), i Deftones restano, nonostante tutto, incatalogabili. Private Music, a cinque anni di distanza da Ohms, si impone subito come una delle prove in studio più convincenti della loro storia recente, senza esitazioni la migliore dai tempi di Koi No Yokan.

Quello che colpisce, è la consapevolezza con cui la band fa il suo ritorno dopo cinque anni di silenzio. Nick Raskulinecz (Alice In Chains, Mastodon), tornato in cabina di regia dopo oltre un decennio, è riuscito a riportare i Deftones in quel territorio ibrido che meglio di chiunque altro sanno abitare, in equilibrio tra pesantezza e delicatezza, tra groove tellurici e aperture melodiche, tra rabbia e sensualità. Non è un caso che Private Music sia stato salutato da più parti come un disco “totale”, capace di tenere insieme i fan della prima ora e le nuove generazioni che hanno scoperto la band di Sacramento grazie a TikTok o attraverso l’eco delle band più giovani che da loro traggono ispirazione (Sleep Token, Bad Omens, Dayseeker, Spiritbox, ma anche Bring Me the Horizon e Architects).

 

Affrontiamo subito l’elefante nella stanza: l’unico possibile appunto a questo album riguarda la sua prudenza compositiva. Laddove Koi No Yokan osava con brani come “Entombed” o “Tempest”, mostrando una band pronta a rischiare sul piano melodico e strutturale, Private Music sembra invece cucito per abbracciare ogni sfaccettatura del loro sound ormai consolidato, senza scarti improvvisi o sorprese radicali. Suona, in un certo senso, come una specie di “best of” di inediti: una panoramica completa e appagante della discografia della band, priva però della quota avventurosa da sempre presente nel loro catalogo. Eppure, è proprio in questa scelta che si nasconde la forza del disco: i Deftones oggi non hanno più nulla da dimostrare, non devono reinventarsi a tutti i costi, ma riaffermare quella voce unica che li rende inconfondibili. E Private Music riesce in pieno in questo intento.

L’album si apre con “My Mind Is a Mountain”, un brano in cui Chino Moreno alterna falsetti vellutati a urla strazianti, sostenuto da un tappeto sonoro in cui la chitarra di Stephen Carpenter macina riff monolitici e le tastiere di Frank Delgado aggiungono una dimensione quasi cinematografica. La successiva “Locked Club” è un esempio perfetto di come i Deftones sappiano trasformare un brano pesante in qualcosa di trascendente: versi quasi spoken word, ritornello urlato, riff che si propagano come un’onda oscura, il tutto condito da un crescendo emotivo che esplode nella frase «Can you feel it?», a cui non si può che rispondere: «Yes!». “Ecdysis” gioca invece la carta del ritorno al passato, con riff mastodontici e un bellissimo giro di basso che sembrano provenire direttamente dagli anni Novanta, ma immersi in un’atmosfera eterea che ne alleggerisce il peso, ricordando alcune cose dei primi Nine Inch Nails e dimostrando come la band sappia guardare indietro senza cadere nella nostalgia.

 

Il cuore del disco, però, è nel dittico composto da “Infinite Source”, una ballata che richiama i migliori Smashing Pumpkins, e “Souvenir”, oltre sei minuti in cui si condensano tutte le anime dei Deftones: dalle aperture melodiche che sfiorano i Cure e i Cocteau Twins alle esplosioni sonore che riportano alla furia di Around the Fur, culminando in un segmento strumentale finale di quasi due minuti che evoca le atmosfere di Angelo Badalamenti nelle colonne sonore dei film di David Lynch – un mix di mistero, sensualità e inquietudine che amplifica la tensione emotiva del brano, confermando come Frank Delgado sia in realtà la migliore arma segreta dell’arsenale della band di Sacramento.

Non mancano poi le deviazioni dal percorso principale, tutte raccolte nella seconda parte del disco. “CXZ” è un saliscendi che miscela sapientemente riff tellurici e clap hands; “I Think About You All the Time” è una ballata quasi alla Smiths, con inserti di chitarra acustica – un unicum per i Deftones – destinata a conquistare chi ama brani come “Sextape”. “Milk of the Madonna”, in un certo senso, è un pezzo quasi solare nel suo incedere ritmato, e rappresenta uno dei punti più alti del disco, con Abe Cunningham che offre una prova spettacolare alla batteria. “Cut Hands” e “~Metal Dream”, che insieme formano una sorta di mini-suite, richiamano la furia rap-metal degli esordi, ma con un’intelligenza compositiva e una sensibilità melodica (frutto del lavoro di Moreno con i Crosses) che le rende tutto fuorché revivalistiche. Il finale, affidato a “Departing the Body”, chiude il cerchio alla perfezione: un brano lento, come un saluto sospeso, con Delgado che tesse paesaggi sonori rarefatti e Moreno che canta con un’intensità dimessa, quasi intima, dispiegando tutto il suo range vocale.

 

Ciò che colpisce, una volta concluso l’ascolto, è la freschezza con cui i Deftones sono riusciti a proporre la loro musica in questo 2025. Ohms era un disco solido, ma in qualche misura “programmato” e di maniera, quasi a voler esorcizzare le difficoltà incontrate durante la lavorazione del precedente Gore. Private Music, invece, va oltre: non ha bisogno di mediazioni né di compromessi: è un disco sicuro di sé, consapevole, naturale, che scorre con una fluidità sorprendente. È anche la prova che, a trent’anni da Adrenaline, i Deftones non sono mai stati così in forma: l’alchimia tra Moreno e Carpenter raggiunge qui un equilibrio che non si vedeva almeno da Diamond Eyes (se non dai tempi di White Pony), mentre Cunningham rimane un motore ritmico affidabile, preciso e fantasioso allo stesso tempo. L’ingresso in pianta stabile di Fred Sablan al basso completa il quadro, aggiungendo una solidità tangibile grazie alla sua capacità di rendere omaggio al compianto Chi Cheng, rispettare lo stile del suo predecessore Sergio Vega e, al contempo, imprimere la propria personalità.

È vero, forse Private Music non è un disco rivoluzionario – non ha la portata innovativa di White Pony, l’audacia di Koi No Yokan e il fascino sperimentale di Saturday Night Wrist. Ma è, senza dubbio, la migliore versione del disco che i Deftones potevano pubblicare nel 2025. Un’opera che suona come un compendio, un’antologia di tutte le loro anime, assemblata con una sicurezza e una qualità compositiva che poche band possono vantare alla decima uscita. Forse, allora, la sua forza sta proprio qui: non nel reinventare i Deftones, ma ricordare perché sono così amati – oggi più che mai. Chi l’avrebbe mai immaginato soltanto dieci anni fa?