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REVIEWSLE RECENSIONI
Prophets Of Rage
Prophets Of Rage
2017  (Fantasy Record)
METAL / HARD ROCK ALTERNATIVE
6,5/10
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21/09/2017
Prophets Of Rage
Prophets Of Rage
Prophets Of Rage non è assolutamente un brutto disco, è semmai il disco risaputo di una band che non sa rassegnarsi allo scorrere del tempo e che rischia di finire come quei soldati giapponesi, persi in qualche isola del Pacifico

Difficile per chi ama i suoni estremi ed è rimasto legato alla breve, ma incendiaria stagione del nu metal, non provare un sottile brivido di piacere a sentir pronunciare il nome dei Rage Against The Machine. Quel ribollente magma di hip hop, heavy metal, funky e dogmi marxisti fu decisivo nella creazione e nella divulgazione di un genere, di cui la band losangelina rappresentò l’avanguardia più barricadera e politicizzata. E poco importa se l’avventura di Tom Morello e soci fu concentrata in solo cinque album (di cui uno di cover e un altro dal vivo): il ricordo è ancora così vivido e intenso, che al sentir pronunciare la parola “rage”, la memoria torna inevitabilmente a loro. “Rage”, ovvero rabbia. Non solo un vocabolo, ma un imperativo categorico, l’esplicitazione verbale di una musica arrembante e senza compromessi, il carburante nobile di una metrica politica declinata con l’accento su “fuck the system!”. Un marchio di fabbrica, soprattutto, da esibire come garanzia di qualità, anche se son passati quasi vent’anni dall’ultima fatica in studio dei RATM (Renegades, sopravvalutato disco di cover, datato 2000), rilasciata più per vincoli contrattuali che per reale convincimento artistico. Non è un caso, quindi, che Tom Morello, Tim Commerford e Brad Wilk, tornino sulle scene, riproponendo quel suono passionario e utilizzando l’egida assonante di Prophets Of Rage, come a voler rimarcare il concetto e sollecitare la memoria di tanti fans rimasti orfani della band. Disperso Zack De La Rocha, che ancora non si decide a sfornare questo benedetto disco solista, i tre superstiti hanno arruolato davanti ai microfoni Chuck D dei Public Enemy e B-Real dei Cypress Hill, hanno girato in tour per affinare l’intesa e il repertorio, e poi, sono tornati in studio, portandosi come souvenir dagli anni ’90 anche Brendan O’Brien, che già aveva curato le fortune della band fin da Evil Empire (1996). Se è vero che la mancanza di Zack De La Rocha e della sua voce aspra e abrasiva è praticamente impossibile da colmare, Chuck D e B-Real (che non sono certo gli ultimi arrivati) ci danno dentro che è un piacere, e le loro schermaglie vocali, insieme a qualche spruzzata di elettronica, rappresentano gli unici elementi di novità del disco. Che, per il resto, suona esattamente come deve suonare un album dei Rage Against The Machine: possente ritmica funky e la chitarra di Morello, protagonista assoluta, con i consueti riff a grattugia e i convulsi assoli in derapata. Certo, per quanto efficaci, pezzi come Radical Eyes, Hail To The Chief, Living On The 110 hanno perso l’effetto sorpresa e suonano esattamente per quello che sono, e cioè combustioni rap metal da molotov lanciate fuori tempo massimo. Così come, se pur ideologicamente superata, non dispiace la chiamata alle armi, tutta slogan e livore, di Who Owns Who e di Hands Up, brani destinati, però, a incendiare un auditorium vuoto. Il meglio, lo si ascolta in Take Me Higher, il cui groove funky aggiusta la mira della band verso una possibile evoluzione del suono, facendo centro, questa volta si, senza se e senza ma. In definitiva, Prophets Of Rage non è assolutamente un brutto disco, è semmai il disco risaputo di una band che non sa rassegnarsi allo scorrere del tempo e che rischia di finire come quei soldati giapponesi, persi in qualche isola del Pacifico e ancora convinti, dopo decenni, di combattere una guerra, in realtà cessata da anni. Tuttavia, al netto degli evidenti anacronismi, i Prophets Of Rage hanno il merito, non da poco, di veicolare concetti e passione, cose che, prevalentemente, mancano al pubblico dei più giovani. In questo mondo alla deriva, certi messaggi restano indispensabili trincee di buon senso e di riflessione. Questo, almeno, a Morello e soci lo dobbiamo.