“Passano da me quattro volte al giorno, gli assistenti domiciliari. La prima volta che Hans ha accennato al discorso, sei mesi circa dopo che tu eri stata trasferita, l’ho trovato ridicolo. Gli ho riso in faccia, e dopo me ne sono un po’ vergognato. Lui era solo animato da buone intenzioni. Era l’epoca in cui avevo ancora potere sulla mia vita.”
Bo ha ottantanove anni e vive da solo, in compagnia del fedele cane Sixten, nella casa davanti al bosco che condivideva con la moglie Fredrika, ricoverata da tempo in una struttura per anziani affetti da demenza senile. Ad accudirlo, ci pensano il figlio Hans, manager che trova nel lavoro una via di fuga alla solitudine, dopo la separazione dalla moglie, l’amata nipote Ellinor, esuberante studentessa universitaria, e quattro assistenti sociali, che si danno il cambio quotidianamente, provvedendo ai fabbisogni dell’anziano.
Le giornate di Bo scorrono una identica all’altra, il deperimento fisico lo costringe a vivere quasi esclusivamente su una panca di legno che tiene in cucina, e i suoi unici momenti di svago sono rappresentati dalle sporadiche passeggiate con Sixten e dalle telefonate con l’amico di sempre, Ture, anche lui anziano, anche lui accudito dai servizi sociali. Un’esistenza accettabile, per quanto di piccolissimo cabotaggio che, però, precipita, quando Hans, preoccupato per le condizioni di salute del padre, decide di affidare a dei vicini il cane...
Quando Le Gru Volano a Sud è l’esordio della scrittrice svedese Lisa Ridzén, che ha trovato lo spunto per la trama del romanzo, leggendo gli appunti che l’equipe di cura di suo nonno, ha consegnato alla famiglia dopo la morte dell’anziano. Con una prosa asciutta, quasi chirurgica, a cui, però, basta una riga per tratteggiare momenti di struggente lirismo, la Ridzén racconta la fine di una vita, riflettendo con profondità sulla morte, sul senso dell’esistenza, sull’amicizia e, soprattutto, sul rapporto conflittuale tra padre e figli, tema che anima buona parte del romanzo.
Bo vive in una bolla tutta sua, fatta di ricordi e di rimpianti, trascorre le giornate dormendo molto, accarezzando l’amato cane, distraendosi solo con un po’ di televisione, qualche programma radio, i dialoghi brevi e smozzicati con chi viene a trovarlo.
Ripensa al passato, al rapporto con il proprio padre violento, dittatoriale e anaffettivo, da cui fugge, appena maggiorenne, quando trova un’occasione di lavoro in un’altra cittadina. Un rapporto intrecciato di paura e violenza, di sopraffazione e frustrazione, che scava lentamente un fossato fra i due, instillando nel piccolo Bo sentimenti di rabbia che non riuscirà mai a sopire.
“Mi sentivo falso, lì davanti alla bara. Mi sentivo falso al pensiero che la gente alle mie spalle fosse convinta che lo piangessi. Le parole del pastore mi avevano indisposto: quelle frasi rispettose dimostravano che non conosceva affatto l’uomo che era stato mio padre.”
Bo pensa anche al rapporto con Hans, un figlio amatissimo quando era bambino e con il quale i rapporti si sono progressivamente sfilacciati. Ma laddove erano la prevaricazione e il rancore a determinare le dinamiche tra Bo e suo padre, con Hans prevale, invece, come un muro invalicabile, il non detto, l’amore taciuto per troppo tempo, la necessità di comprensione reciproca, ora che il rapporto si è ribaltato: Hans accudisce il padre, prigioniero in un corpo che non risponde più ai comandi, come Bo faceva con lui quando era piccolo. E come per tutti i bambini, certe scelte del genitore sono incomprensibili, anche se dettate da sincero affetto e desiderio di protezione.
Bo racconta tutto alla moglie, in un monologo immaginario dal quale trova conforto, nel tentativo velleitario di rendere presente e reale una figura amata, che ora vive a chilometri da lui, in un ospizio, incapace di riconoscerlo, incosciente della realtà che la circonda. Un monologo interrotto solo dai biglietti, spesso asettici, che gli operatori sociali si scambiano a ogni cambio turno e che intervallano la narrazione principale. Che si sofferma anche sull’amicizia fra Bo e Ture, lunga una vita, traboccante di sincero affetto, nonostante le voci ricorrenti circa l’omosessualità di quest’ultimo. Voci a cui Bo non ha mai dato importanza, anche se, in un passaggio toccante del libro, quando scopre che l’amico aveva una relazione con un altro uomo, si sente in qualche modo tradito. Non per l’omosessualità, ma perché il suo migliore amico non è stato completamente sincero, non si è aperto totalmente, tenendo celata una parte importante della sua vita.
Ogni pagina di Quando Le Gru Volano Al Sud racchiude una verità, ogni pagina impone una riflessione, anche se leggere e pensare fa dannatamente male. Perché questa storia riguarda ciascuno di noi, quello che abbiamo vissuto o vivremo coi nostri genitori, quello che vivremo personalmente, il giorno in cui non avremo più alcun potere sulla nostra vita, sulle nostre scelte, sui nostri desideri.
In qualche modo, però, questo straordinario romanzo è anche consolatorio e fa bene all’anima. Perché tratteggia personaggi di grande umanità (Ture), altri animati da sincera pietas (la dolce assistente sociale Ingrid) e indica chiaramente la strada che dà il senso ultimo alle nostre esistenze: il perdono.
E quando nelle ultime, struggenti pagine, la morte bussa alla porta, il corpo si dissolve, l’anima diventa più leggera, e la natura e l’amore di chi ci circonda trasformano l’estremo passo nel momento culminante della vita.
“Il suo naso umido mi si infila sotto la mano e lui preme contro di me. Tutto si fa di una chiarezza cristallina. Una finestra si apre e io sento le gru riunirsi per volare a sud.”