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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/03/2021
HO.BO
Quel senso antico di silenzio, come le candele, come l’America
Oggi Loudd vi presenta in anteprima anche il video live registrato la scorsa estate, di questa versione del brano “Psalm" che “calza a pennello con l’idea di America che avevamo”.

“Siamo in lotta, ognuno a modo suo, contro un modo di vivere la realtà che non ci rappresenta”. (Ho.Bo)

Un tempo l’America era quella terra promessa. E di promesse ce ne hanno fatte tante e tante altre ne abbiamo viste alla televisione. E più la televisione cresceva e più hanno scoperto che le promesse avevano forza… e poi, quasi senza controllo, le promesse sono divenute certezze nel qui ed ora, nel tutto e subito. Finte, aleatorie, senza concreta ciccia da toccare con mano, ovviamente, ma pur sempre potevano somigliare a vere certezze. E tutti ci abbiamo creduto. E tutti continuiamo a crederci. Vendere il fumo magico dell’illusione è il nuovo mercato del capitalismo. L’America allora sembra quasi si sia allontana dalla mia camerata fatta di vinili e libri di carta… e il nuovo disco degli HO.BO ha certamente il pregio infinito di ricercare quell’America li, quella che alle storie ci credeva, quella che ai sogni ci credeva… quell’America che Steinbeck ha immortalato senza pietà e senza compassione. Quell’America di strade luride, di beat generation, di omicidi a sangue freddo… E così, quando suona questo nuovo disco degli HO.BO ho quel sapore di ferro tra i denti, ho il nervo scoperto che brucia ma anche quel dannato silenzio che ti fa apprezzare persino il rumore di una candela. Non ci sono orpelli digitali e luce elettrica, non ci sono schede computerizzate e manovelle futuristiche. Ci sono le candele, l’erba buona, un rum dentro il vetro sporco, ci sono gli ubriachi a cavallo e qualche pistola scarica sporca di sangue sul tavolo dove hai tagliato la carne. Si leggono i tarocchi per capire il futuro e si fa qualche rito propiziatorio contro la cattiva sorte. In tutto questo è inevitabile non ritrovare la voce di Luca “Swanz” Andriolo e quel certo mood di dannazione alcolica, da rigattiere del suono e della lirica… insomma, è inevitabile non pensare all’America della grande depressione quando suona questo “A man with a gun lives here”, il nuovissimo disco degli HO.BO.

Oggi Loudd vi presenta in anteprima anche il video live registrato la scorsa estate, di questa versione del brano “Psalm" che “calza a pennello con l’idea di America che avevamo”.

Mostro sempre una resa dannata e incondizionata verso chi sa uscire dal suo tempo, dal suo luogo, dalle proprie battaglie… mostro sempre debole incanto verso chi alle battaglie altrui appartiene senza una ragione che sia convincente per la razionalità commerciale di noi altri figli e fantocci del progresso tecnologico.

Partiamo dall’America. Un tempo era la terra promessa. In questo disco mi pare sia la terra d’origine, scura di storie non troppo pulite. Una terra da cui scappare o da cui ci si lascia benevolmente incastrare. Per voi cosa rappresenta l’America?

L’ America, a differenza di quella della Nannini, rappresenta la contraddizione. Prima i grandi stermini indiani, poi la schiavitù e il villaggio turistico più remunerativo per gli europei che sono riusciti a spremerla per bene. In mezzo le storie che ci interessano, il blues visto come esperimento sociale, un modo di comunicare sofferenza e rabbia nel miglior stile gentlement. Ripensando ai testi dei bluesman, erano viscerali e rappresentavano a chiare lettere la vita di merda che hanno dovuto subire, non che ora se la passino bene, i neri negli stati uniti mantenendo comunque una certa classe nel farlo. Usavano parole come rasoi ma il linguaggio musicale utilizzato permetteva di comunicarle con più leggerezza.

C’è della speranza nella nostra America, prima però c’è ancora da combattere tra gli spettri.

Inevitabile non consumare alcool ascoltando questo disco. Sulle tracce di un ovest, alla controra… Tornando in Italia, tutto questo scenario in cosa lo ritrovate? In altre parole: come può nascere un disco simile dal Piemonte di un’Italia provinciale come la nostra?

Viviamo in un contesto di etichetta e gruppo di persone che ne ruotano attorno molto interessante. Quando il gruppo si è creato intorno a Sam, col passare del tempo si sono uniti al progetto musicisti che arrivavano da mondi lontanissimi dal folk o dal blues. Hardcore, sperimentazione, viaggi psichedelici, garage, drone: tutti questi linguaggi sono stati portati in seno da chi entrava nella band che però si sono messi al servizio del blues che possiamo vedere come cappello che filtra e smussa tutti gli estremi. Ecco come può nascere un disco così.

Certo, potremmo anche dire che la strada che divide casa di Sam dalla saletta è un lungo rettilineo da 30 minuti tra risaie, cascine, nebbia e quindi l’immaginario è presto fatto, ma mentiremmo.

E la stessa domanda dovrei farla a Luca Andriolo che ho sempre pensato inevitabile dietro un suono simile. E davvero ce lo avete messo dentro. Inevitabile…vero?

Eh abbastanza. Abbiamo avuto la fortuna di suonare con lui, abbiamo condiviso un bel po’ di ascolti e qualche amicizia in comune, ci interessava molto confrontarci con Luca, che conosce molto bene il giro folk-blues italiano. È venuto una domenica in saletta e ha tirato fuori tutte le figate che ha messo sul pezzo, le cose si sono incastrate subito.

Un disco che potrebbe fare da sfondo ai romanzi di Steinbeck o al grande Capote che citate a sangue freddo. Come citate Edgar Allan Poe che non a caso vive e vegeta in quel tempo, quei luoghi, quell’America. La letteratura in generale quanto peso ha nel vostro suono?

All’interno della band ci sono dei lettori con generi preferiti differenti, scrittori che alcuni adorano e altri mal sopportano, c’è però una visione di insieme quando si suona con HO.BO: l’immaginario della Beat Generation, di London, ma anche di Fante che è una lettura molto condivisa. Vista la domanda, che ci interessa e incuriosisce molto, nel suono si possono sentire anche altri riferimenti, certa letteratura italiana del dopoguerra, i russi ma anche Ratman. Cerchiamo di creare un suono sincero, dentro ci stanno mille riferimenti.

E parliamone di questo suono. Come l’avete costruito, dove l’avete ripreso… ma soprattutto come? Perché davvero non è un disco figlio di questo tempo e di questa Italia…

Il suono è stato costruito in “studio”, usiamo le virgolette perché il disco è stato tutto registrato e mixato nella nostra saletta, con il prezioso e indispensabile aiuto di Carlo Barbagallo in fase di mix. È stato un anno di deliri di cavi, nastri, microfoni volanti, un fiume di sigarette e sbronfi, pizze sulle tastiere… Ci siamo messi a disposizione dei pezzi o almeno ci abbiamo provato. Un contributo al suono del disco è stato l’ingresso nel gruppo di Marco, è entrato in punta di piedi e ha spostato la bussola per tutti; la direzione era quella gusta, quindi abbiamo cercato di seguirla. Sui credits c’è scritto che è stato registrato al Nostudiorec che non è altro che lo studio di tutti quelli che si avvicinano a Kono Dischi. Volevamo uno studio per farci le robe come piaceva a noi e con gli anni ce lo siamo costruito, può sembrare banale ma per noi significa moltissimo.

Visto che hai chiuso la domanda con una osservazione volevamo rigirartela: perché no?

Forse “Psalm” è il momento più blues del disco… mi ci sono fermato diverso tempo e non saprei da dove cominciare. Anima dannata o anima salmodiante in cerca di speranza e di salvezza?

“Psalm” è un pezzo molto particolare, sul disco l’abbiamo lasciato scarno, guidato dalla voce che ti porta dentro al blues, come dicevi tu, poi però l’abbiamo approcciato in modo diverso per suonarlo live, costruendo un suono collettivo, cercando comunque di mantenere il pezzo esattamente in linea con quello che c’è sul disco. In questa estate di approccio al live, abbiamo trovato il modo di fissare una parte del lavoro facendo proprio un video di questo brano e che presentiamo pubblicamente proprio oggi qui a Loudd… quindi ancora grazie. Anche questa uscita non sarebbe stata possibile senza la nostra etichetta alle spalle e all’occhio musicale di Lara Zacchi che riesce sempre a stupirci per la sua capacità di fissare immagini aderenti al nostro modo di fare (www.larazacchi.com). Ci segue fin dall’inizio, live, in saletta, nelle nostre case, non ha caso ci ha regalato lo scatto per la copertina. “Psalm”, è il pezzo che calza a pennello sull’idea di America che abbiamo.

Vorrei spingervi a fantasticare un poco. L’allegoria è dietro l’angolo ed impossibile non edulcorarla per parlare di oggi. Prendo spunto da Prende spunto da questa copertina: chi vive in questa casa? C’è il mare (credo), non mi sembra sia il Piemonte (se non erro)… ma poco importa in fondo.

Per ordine: se ti diciamo chi vive in quella casa non esiste più la copertina come concetto, quindi passiamo la mano, non c’è il mare e siamo in Piemonte…ma poco importa in fondo.

Tutto questo mi richiama immagini di paura, di distanze, immagini di ignoto e di un futuro carico di presagi bui…

Esattamente come la musica che cerchiamo di fare. Siamo in lotta, ognuno a modo suo, contro un modo di vivere la realtà che non ci rappresenta. Nel modo che abbiamo di suonare, scrivere, fare le copertine c’è sicuramente un malessere che viene espresso proprio perché stiamo lottando per sopravvivere decentemente al mondo che ci viene proposto.

A chiudere. Oggi siamo quasi dentro una “grande depressione”. Beh certamente con il dovuto rispetto per tutte le differenze, belle e brutte. Un disco come questo quanto deve al teatro di questi giorni? Lo denuncia, lo accoglie o se ne fa sconfiggere? Che poi brani come “Psalm” divengono protagonisti in questa visione…

Il “teatro” che ci accompagna in questi giorni non ci sembra abbia molte differenze con la situazione che abbiamo vissuto negli anni passati. Si sono amplificate metodologie che già erano presenti, diciamo che lo scorso anno è come se si fosse schiacciato un fuzz al nostro presente, maciullando tutti i processi, facendo uscire tutti i difetti che, nel nostro modo di pensare, già aleggiavano nelle nostre vite. Intorno a noi chiudono gli spazi e tutte quelle situazioni dove si poteva produrre cultura libera e liberamente, in tutto questo la politica gioca con gli spettri, rendendoli normalizzati all’occhio delle persone. In sostanza si ripresentano gli stessi ragionamenti di sempre, soltanto estremizzati dall’epidemia. Come HO.BO non ci resta che continuare a fare musica cercando di comunicare il nostro vissuto quotidiano.


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