Le versioni deluxe o comunque generalmente espanse dei vari dischi sono sempre esistite, ma in questi ultimi anni di dominio imperante dello streaming pare siano diventate obbligatorie, ai fini di richiamare nuovamente l’attenzione su prodotti che tendono ormai ad essere dimenticati dopo pochi giorni.
In questo specifico caso, tuttavia, è un vantaggio anche per noi, dato che ci permette di recuperare un album che al momento dell’uscita ci eravamo completamente persi.
Caterina Dolci, già membro delle Bambole di pezza, ha inaugurato il suo progetto solista dada sutra nel 2022, con un EP di quattro pezzi a metà tra italiano e inglese, che ha ricevuto buoni riscontri da parte della critica.
Questo amore mortale amplia la formula, aggiungendo una notevole dose di elettronica all’originario nucleo Post Punk, e mette in mostra tutto il fascino e l’inventiva di un lavoro che, nonostante presenti influenze ben definite, si muove fuori dai soliti canoni (in questo senso il vocabolo “dada” nel monicker risulta quanto mai appropriato).
L’opener “Diva”, che arriva dopo l’introduzione di “i” (prima parte di un trittico che si muove tra campionamenti e voice over) è senza dubbio uno degli episodi migliori del lotto, ritmiche incalzanti e ossessive, con una linea vocale coinvolgente e di facile presa, che dipana un testo molto ben riuscito, a metà tra autobiografismo e distopia.
“Le cure” e “Manifesto” sono invece quelle dove la sperimentazione e la “follia” creativa di Caterina escono fuori maggiormente, mettendo assieme un utilizzo spericolato dei Synth e dei campionamenti (bello il modo in cui vengono inseriti sax e violoncello), e liriche a tratti surreali, dai riferimenti letterari profondi (una costante di tutto il disco, questa), mentre “Berlino Est”, più assestata sulla forma canzone, riflette sull’eredità della guerra fredda e sulle contraddizioni politiche, sociali, ma anche personali, che ancora dividono l’Europa.
“Principe” è un’incursione nel mondo dello sciamanesimo e dei nativi americani, ed è abbellita da una traccia di sax decisamente azzeccata; il riferimento ai Massive Attack evocato dalla stessa autrice sembra in effetti pertinente.
Ci sono poi momenti, come la strumentale “mio dio aiutami a sopravvivere a questo amore mortale” e “iii”, dall’andamento irregolare e spigoloso, ma anche “Zacateca”, col suo basso sinuoso e le ritmiche tribali, che mettono in luce tutta la ricchezza di un lavoro che unisce immediatezza e trame maggiormente articolate, senza avere paura di risultare discontinuo o sfilacciato.
Tra i contenuti “extra”, oltre ad una nuova versione di “Berlino Est” (in realtà la prima ad essere stata registrata) rinominata “Berlino Ovest” e con la partecipazione di Greams e di Alex Dal Checco al sax, ed una alternativa di “Manifesto” che contiene una citazione di Kathy Acker, c’è anche una interessante rilettura del “Canto di carcerati”, sua personale versione di quel “Canto di carcerati calabresi” scritto da Gino Negri e portato al successo da Ornella Vanoni: ovviamente le sonorità moderne svecchiano tutto ciò che altrimenti sarebbe risultato anacronistico, e il risultato finale, in continuità col resto del disco, è notevole.
Una voce fuori dal coro nel panorama musicale italiano, questa di Caterina Dolci, che a questo punto siamo curiosi di vedere in azione dal vivo.