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REVIEWSLE RECENSIONI
08/02/2018
Anna Burch
Quit The Curse
La freschezza di Anna Burch è straordinaria. La songwriter di Detroit approda all’esordio da solista con un disco di musica solare su testi intimi e uno stile di matrice indie rock.

Ci sono dischi che danno tempestive sensazioni di peace of mind, la cui esperienza di ascolto si avvicina un percorso rettilineo per spostarsi da un punto A a un punto B senza nemmeno un’imperfezione nel manto stradale che causi il minimo sussulto, con melodie e parole che trasmettono immediatezza compositiva senza cadere nelle dinamiche riconducibili necessariamente al pop.

“Quit the curse” è una doccia di serenità in grado sciacquare via tutte le impurità di certa musica ostica e complicata che siamo usi ascoltare, un po’ per posa, un po’ abitudine e un po’ perché ci portiamo dentro quello spleen che non ci dà pace. Il merito va tutto alla voce di Anna Burch e a come sappia essere accomodante, al modo in cui ci guarda dalla copertina del disco (malgrado la discutibile tappezzeria alle sue spalle) e sembra invitarci nel suo mondo fatto di cose semplici e di strutture elementari e dirette. Un paio di chitarre, basso e batteria e quel modo unico di prolungare l’ultima vocale dei versi delle strofe senza la minima incertezza o sbavatura.

Anna Burch è una songwriter di Detroit al suo esordio solista. “Quit the curse”, disco a cui ha collaborato in fase di registrazione Collin Dupuis (già dietro le quinte di Lana Del Rey e Angel Olsen) comprende nove canzoni caratterizzate da uno stile a metà tra un morbido indie rock anni 90 e qualche incursione in quello che immaginiamo sia stata certa musica leggera negli anni 60, con testi intimi cantati spesso a due voci armonizzate che parlano di relazioni sentimentali e della loro incertezza quando si è vulnerabili. Il tutto su giri di accordi che ogni band indie-pop pagherebbe per metterli in sequenza con tale risolutezza.

Il disco nel suo insieme è davvero piacevole, ma ci sono alcuni passaggi che lo rendono assolutamente unico. Il modo in cui si sviluppa “2 Cool 2 Care”, la prima traccia che parte con un riff di chitarra da canzoncina per bimbi e, in coda, diventa inspiegabilmente un brano dei Velvet Underground. Il fade-in di “Asking 4 a friend” e l’assolo fuzz che rende l’atmosfera molto Cardigans. L’americanissima slide guitar di “Belle isle”. Il lento incedere di “Quit the Curse” e “In your dreams” che ti viene voglia di scendere e spingere. La perfetta dolcezza di “What I want”. Il sussulto ai limiti del grunge di “Yeah you know” e, ultimo solo per motivi di tracklist, la composta perfezione di “With you every day”, il modo in cui ci lascia e il suo richiamo che, da questa parte dell’oceano, accogliamo più che volentieri. Insomma, se volete innamorarvi, mettetevi in fila.