La chiave di lettura di quanto accaduto me la offre lo stesso Rafael Toral quando, a fine concerto, lo intercetto per salutarlo, farmi firmare il cd appena acquistato al banco del merchandising e, già che ci sono, domandargli qualche delucidazione su quanto appena ascoltato e sulle varie fonti di riproduzione sonora da lui utilizzate nel corso della performance. Dopo aver risposto alle mie domande in modo gentile e paziente, alle mie giustificazioni sul fatto che di musica di avanguardia capisco poco o nulla e che soprattutto non posseggo nessuna nozione tecnica, sorride e dice: “La tecnica è noiosa. È molto meglio lasciarsi trasportare dalla musica. Puoi andare da un mago e chiedergli come ha fatto ad operare questo o quel numero, ma niente potrà mai sostituire lo stupore che si prova nel vederlo in azione”.
In effetti ha ragione. È pur sempre vero che, rispetto alla musica realizzata con strumenti per così dire “tradizionali”, questa appare poco immediata proprio per il fatto che occorre avere specifiche competenze per comprendere quello che succede sul palco; dall’altra parte, il risultato finale di tutti questi esperimenti ha quasi sempre a che fare con una bellezza e uno stupore tutto sommato accessibili a tutti.
La proposta di Rafael Toral, per quanto ostica possa apparire, non fa eccezione. L’artista portoghese è da trent’anni tra i nomi più rappresentativi di un’elettronica minimale ai confini con l’Ambient ma spesso contaminata anche dal Rock e dal Jazz; un genere, quest’ultimo, a cui si è dedicato nel progetto Space Quartet, dall’omonimo disco del 2018.
Spectral Evolution, uscito all’inizio dello scorso anno per la rinata Moikai di Jim O’ Rourke (e anche questo, a ben vedere, non è un caso), rappresenta in un certo senso la naturale evoluzione di un disco come Violence of Discovery and Calm of Acceptance, sebbene si muova su binari decisamente più pacifici e solari. A febbraio ne ha pubblicata una versione live, che mette assieme le registrazioni di due concerti, a Lovanio e a Lisbona, e sarà di fatto questo il tema della serata.
La Palestra Visconti si dimostra una sede più che adatta ad una tale performance: le sedie sistemate in platea, l’atmosfera buia della sala, il palco basso e molto vicino agli ascoltatori, hanno garantito una naturale immersione nei contenuti di questo disco, col contributo fondamentale della riproduzione in quadrifonia, indispensabile per potersi gustare fino in fondo la straordinaria ricchezza degli input sonori presenti nel disco.
Si inizia qualche minuto dopo le 21: lo schermo sullo sfondo si illumina a proiettare la cinciallegra protagonista della copertina dell’album (che a più riprese evoca in effetti il suono del bosco coi canti degli uccelli) Rafael Toral fa il suo ingresso tra gli applausi e ringrazia quasi timidamente i presenti per essere venuti. Poi si siede, imbraccia la chitarra e ci permette di prendere il largo assieme a lui.
Il set è minimale: la chitarra, dovutamente trattata con gli effetti e fonte costante di droni e loop, rappresenta la componente live della performance, ed interagisce con le numerose linee di Synth modulari, che costituiscono il grosso della complessa stratificazione sonora della composizione, che vengono controllati da un’antenna theremin e riprodotti in quadrifonia.
Le fonti sonore si confondono tra loro, i bordoni si sovrappongono e si armonizzano, diventano rumori ambientali, cinguettii, danzano con la chitarra in un costante andamento ondulare, con l’intensità che ora sale a livelli massimi, ora si stempera in un sussurro delicato e a tratti impercettibili.
Toral si muove da direttore virtuale di un’orchestra che include unicamente se stesso: quando non sono impegnate sulla chitarra, le sue mani si muovono leggere ed ipnotiche, rapite dalla musica, seguendo l’andamento delle onde sonore, come in un immaginario campo magnetico generato dall’antenna. A tratti, come già nella versione in studio, il paesaggio si svuota e resta in primo piano la chitarra, che ricama delicatissime e quasi impalpabili melodie, prima che il quadro si riempia di nuovo e la marea torni a salire.
Un’ora di grande fascino, un ampliamento naturale e disinvolto di quanto già sviluppato su disco, più fruibile nel momento in cui si accetta di perdersi e di lasciarsi cullare, piuttosto che pretendere di seguire in maniera cervellotica ogni passaggio.
Un grande artista, Rafael Toral. Speriamo di poterlo rivedere al più presto dalle nostre parti, magari a seguito dell’uscita di un nuovo progetto.