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REVIEWSLE RECENSIONI
20/03/2018
Jonathan Wilson
Rare Birds
Con “Rare Birds” Jonathan Wilson amplia il Laurel Canyon sound revival che lo ha reso celebre per puntare in direzione degli anni Ottanta, tra influenze Pop, Ambient e Yacht Rock.

Nonostante siano passati ben cinque anni da Fanfare, la sua ultima uscita discografica, non si può dire che nel frattempo Jonathan Wilson se ne sia stato con le mani in mano. Infatti nell’ultimo lustro il quarantatreenne cantautore originario della Carolina del Nord ha prodotto e suonato negli album di Father John Misty, Conor Oberst e Karen Elson e ha avuto un ruolo di primo piano nei lavori che hanno segnato il ritorno dopo anni di silenzio di due giganti della musica britannica come Roy Harper (Man & Myth) e Roger Waters (Is This the Life We Really Want?), del quale è anche il direttore musicale della band che lo accompagna dal vivo. Per cui stupisce che una schedule così piena gli abbia permesso di trovare il tempo per comporre e incidere un album così denso, complesso e ambizioso come Rare Birds. In 13 canzoni per 78 minuti, infatti, Wilson amplia il Laurel Canyon sound revival che lo ha reso celebre per puntare in direzione degli anni Ottanta, tra influenze Pop, Ambient e Yacht Rock.

È sempre interessante ascoltare gli album di produttori come Wilson, i quali, quando si ritrovano a dover lavorare sulle proprie canzoni, possono dare finalmente libero sfogo a tutta la loro creatività, senza dover per forza di cose rispettare le volontà del cliente di turno. Il risultato è un disco curato in ogni dettaglio, un vestito cucito su misura da parte di un sarto che è un artigiano follemente innamorato del proprio lavoro, il quale, come il Reynolds Woodcock de Il filo nascosto, ama nascondere tra le cuciture delle proprie creazioni dei dettagli sonori che non sono nient’altro che un tributo alla propria collezione di dischi. Inutile girarci intorno, Rare Birds è un album per musicofili, per coloro che amano ancora prendersi del tempo e ascoltare la musica con la dovuta concentrazione, spulciando tra i credits, scorrendo i nomi dei musicisti coinvolti (Joey Waronker alla batteria, Jake Blanton al basso e Greg Leisz alla lap steel sono i più utilizzati, ma ci sono anche Laraaji, Josh Tillman, Lana Del Rey, e Jess Wolfe e Holly Laessig dei Lucius), leggendo i testi e scrutando con attenzione la copertina. E che cercano di cogliere i vari rimandi che Jonathan Wilson ha nascosto tra le pieghe delle proprie canzoni: il Soft Rock dei Fleetwood Mac,  l’Ambient à la Brian Eno, i Pink Floyd e la chitarra liquida di David Gilmour, la spensieratezza degli ABBA, i Talk Talk di The Colour of Spring, il Tom Petty di “Don’t Come Around Here No More”, Jeff Lynne e l’Electric Light Orchestra, David Bowie e Marc Bolan, i Beach Boys e i Kinks, Gram Parsons e i CSN&Y, fino ai più contemporanei Steven Wilson e The War on Drugs.

Ecco, forse il principale difetto di Rare Birds – oltre a essere un po’ troppo lungo (probabilmente a Jonathan non farebbe male lavorare una volta tanto con un produttore esterno che gli faccia da editor) – è che corre il rischio di trasformarsi in un gioco da La Settimana Enigmistica dal titolo “Trova le influenze”. Ma che importa: quando ci si imbatte in album così ben scritti e prodotti, si chiude prima uno e poi anche l’altro occhio, per aprire bene le orecchie e ascoltare un’ora e venti di musica fatta come si deve.