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REVIEWSLE RECENSIONI
Returning To Myself
Brandi Carlile
2025  (Interscope Records/Lost Highway)
IL DISCO DELLA SETTIMANA AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ROCK POP
8/10
all REVIEWS
17/11/2025
Brandi Carlile
Returning To Myself
Dopo cinque anni intensi e svariate collaborazioni, Brandi Carlile si ferma e torna a guardarsi allo specchio, per raccontarsi con sincerità, attraverso un pugno di canzoni che riaffermano la sua identità artistica.

L’ascesa al successo di Brandi Carlile è stata lenta, ma inesorabile. Negli ultimi cinque anni, soprattutto, il suo talento, già evidente in un filotto di album apprezzati da pubblico e critica (l’ultimo, In These Silent Days del 2021 ha ricevuto l’ennesima candidatura ai Grammy) è emerso cristallino da una serie di collaborazioni che ne hanno evidenziato la versatilità. Prima i Soundgarden, poi Alicia Keys, e quindi il contributo decisivo a far tornare sul palco Joni Mitchell, dopo l’aneurisma che aveva colpito la musicista canadese nel 2015. Da quando, poi, è uscita la sua collaborazione con Elton John in Who Believes in Angels? all'inizio del 2025, la stella di Brandi Carlile non è mai stata così luminosa.

Anni importanti, dunque, in cui la quarantaquattrenne songwriter, originaria dello stato di Washington, ha, come si suol dire, battuto il ferro finchè caldo. Dopo tanti frenetici giri di giostra, Returning to Myself è, però, il suo modo di uscire dall'ombra dei suoi collaboratori famosi, per guardarsi allo specchio e ritrovare se stessa. Una nuova partenza, quindi, dettata dalla volontà di affermare la propria autonomia artistica, di metterci la faccia, come nella copertina del disco, e tornare a raccontarsi, senza filtri, con la consueta onestà ed emotività.

 

Dave Cobb e Shooter Jennings, produttori dei suoi ultimi due dischi, sono stati sostituiti dalle icone dell'indie rock Aaron Dessner e Justin Vernon, insieme al giovane Andrew Watt che ha lavorato al suo album con Elton. Ne consegue che questo Returning to Myself si spoglia di tutti quegli strati del suo passato, anzi, per certi versi, è un taglio netto con tutto quello che è stato prima, e torna a mettere la Carlile, una nuova Carlile, al centro del villaggio.

Da un lato, c’è la consapevolezza di essere l’erede dichiarata di Joni Mitchell e in tal senso la title track che apre il disco profuma Laurel Canyon a miglia di distanza, con quella voce che si prende la scena su una melodia essenziale, riflettendo sulla necessità della solitudine per ritrovare la vera natura delle emozioni ("And returning to myself is such a lonely thing to do But it's the only thing to do").

E che la Mitchell sia qualcosa in più di una semplice fonte d’ispirazione è evidente nella leggerezza folk di Joni, che non è solo un omaggio, ma una sfacciata canzone d’amore alla musicista canadese: “Quando ti dico che ti amo e tu mi dici "Okay", So che mi credi, e questo è amore a modo tuo, La maledizione di una donna selvaggia è che non sopporta gli sciocchi, Non prepara tazze di tè e non fascia gli ego feriti”.

Per converso, però, c’è anche l’affermazione della propria identità, la volontà esplicita di raccontarsi per quello che Brandi è diventata oggi, come donna e come songwriter.  

"Human", scritta con i suoi compagni di band, i gemelli Hanseroth, è il brano più luminoso del disco, una bellissima ballata pop soul che invita ad accettarsi, difetti e debolezze comprese, mentre "A Woman Oversees" dà sfogo a un appassionante e vibrante gospel per raccontare una relazione ormai traballante: “Lei ti raggiunge in profondità come un barattolo di biscotti aperto, E non perché sei interessante, Ma per scavare nel tuo cuore spezzato”.

 

Ha sempre cantato benissimo, la Carlile, ma in Returning To Myself utilizza un approccio più sobrio, meno estroso. Ascoltate la meraviglia con cui tratteggia su doppio binario il cantato di "Anniversary", una morbida ballata avvolta in un dolce arrangiamento d’archi, o con quale naturalezza accarezza la malinconica melodia di "A War With Time", raccontando di un altro amore che potrebbe essere sul punto di collassare: “Sto vivendo una guerra con il tempo Potrei ancora allungare la mano e toccarti, E vorrei non sapere le cose che so, Sono in piedi su una porta aperta, Niente di tutto ciò è stato sopravvalutato e non vorrò mai lasciarti andare”.

La toccante ode alla genitorialità, "You Without Me", era già presente nel suo album con Elton John, ma la bellezza della canzone e quel suo suono smaccatamente a la Bon Iver la rendono perfetta per il mood introspettivo dell’album, mentre nella conclusiva "A Long Goodbye", con quel sapore vagamente springsteeniano, la Carlile ripercorre la sua vita prima di incontrare sua moglie e conclude: "Ho dovuto solo perdere la strada, per essere trovata da te".

Resta da citare ancora "Church and State", una canzone che attraversa le due metà dell’album come una scheggia impazzita. Se in tutti i brani, i temi cantati dalla songwriter sono personali e sentimentali e il se il mood principale è quello della ballata intima e malinconica, questa canzone fulmina l’ascoltatore come San Paolo sulla via di Damasco: Brandi canta l'orrore della seconda era Trump attraverso una ritmica convulsa (la linnea di basso rocciosa, la batteria martellante), un tiro rock usque ad finem, l’eco dei primi U2, gli occhi iniettati di sangue e la voce rabbiosa che trascinano letteralmente l’ascoltatore verso una deriva quasi noise, che dal vivo potrebbe  trasformare il pit in una bolgia di pogo infernale. Il furore è però mitigato da una vaga speranza, da un ironico e cupo ottimismo: “No, non vivranno per sempre, brucia il domani, non dirlo mai, sono qui oggi, poi se ne saranno andati per sempre. Non dirlo mai, non dirlo mai, non dirlo mai, Troveremo un modo, troveremo un modo, Troveremo un modo, immagina se potessimo”.

E’ questo, dunque, il vertice di un disco in cui la Carlile mostra il lato più malinconico, vulnerabile e oscuro della propria musica, lasciando forse delusi quei fan attratti dal country e dall’americana, generi che in Returning To Myself sono accantonati o rivestono un ruolo marginale. Non so dire se questo sia il miglior capitolo della sua discografia, ma è certo che questa nuova Carlile ha preso una traiettoria coraggiosa e convincente, che la traghetta fuori da facili definizioni e la definisce musicista tout court, senza bisogno di altri aggettivi qualificativi.