Inglewood, California, 29 agosto 1977. Davanti a un pubblico di circa cinquantamila persone si esibisce quella che, in quel momento, è una delle rock band più famose del pianeta. Sei mesi prima, infatti, i Fleetwood Mac hanno pubblicato Rumours, un best sellers che stazionò al primo posto delle classifiche americane per trentun settimane (non consecutive), che fece incetta di dischi di diamante e di platino, e che ha venduto più di quaranta milioni di copie, diventando il sesto disco più venduto degli anni ’70 e il nono più venduto di sempre.
E’ un momento di grazia per la band che, con l’entrata nella line up del chitarrista e cantante Lindsey Bickingham e della conturbante Stevie Nicks, ha completamente cambiato registro, virando dal rock blues degli inizi (quando a tener il timone c’era Peter Green) a un sofisticato pop rock screziato di country e dal seducente appeal radiofonico. Sono anche anni, però, in cui emotivamente la band sta implodendo, dal momento che le coppie formate da Buckingham e Nicks e da John McVie e Christine Perfect sono al collasso, mentre Mike Fleetwood ha appena scoperto il tradimento della moglie. Eppure, grazie anche al collante della droga e dell’alcol, e in virtù di una straordinaria vena compositiva, i Fleetwood Mac, rimestando con malinconia e un filo di intelligente cinismo sulle rispettive turbolenze sentimentali, danno alla luce un disco destinato alla leggenda.
Questo straordinario live fotografa la band esattamente in quel momento così particolare e così esaltante, regalando all’ascoltatore, a distanza di quarantasei anni, un filotto di canzoni, tutte, nessuna esclusa, benedette da imprimatur divino, e interpretate con un’intensità che lascia a bocca aperta. Sono diciotto i brani in scaletta, tutti estratti dal recente Rumours e dal precedente omonimo disco del 1975, ad eccezione della sola "Oh Well", omaggio a Peter Green e alla prima parte di carriera della band.
Se la qualità dei nastri rimasterizzati è ottima, ma non perfetta, quello che maggiormente colpisce è la potenza deflagrante con cui i Fleetwood Mac affrontano un repertorio, il cui velluto melodico viene sporcato e scartavetrato da un approccio elettrico e rockista. Non mancano certo momenti più intimi e raccolti (una "Ladslide" da brividi) e i consueti, giocosi connubi fra roots e pop (l’iniziale "Say Love To Me"), ma a prevalere è un suono muscolare, a tratti addirittura feroce. E’ soprattutto quando entra in scena Stevie Nicks che le canzoni vibrano di elettricità, come in "Dreams", che evoca la notte anche se il sole splende alto, o come in due autentiche gemme quali "Gold Dust Woman", più lunga, ancora più disperata, e trascinata al parossismo dalle bordate elettriche di Buckingham (che chitarrista straordinario!) e dall’ululare convulso della Nicks, o dagli otto minuti di una immensa "Rhiannon", trasfigurata in un cupo sabba elettrico, il cui finale furente lambisce i confini del punk rock.
Il live si chiude con "Songbird", evidente omaggio alla compianta Christine Perfect, che ci ha lasciati il novembre scorso, e quando la signora McVie canta quel verso struggente che trabocca disperazione (“…and the songbirds are singing, like they know the score. And I love you, i love you, like never before”) è quasi inevitabile che la gola si stringa in un groppo di amara nostalgia.
Un disco dal vivo strepitoso, imprescindibile per i fan dei Fleetwood Mac e imprescindibile per chiunque voglia approfondire il momento magico di una delle band più importanti e seminali della storia.