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REVIEWSLE RECENSIONI
08/04/2018
Gizelle Smith
Ruthless Day
Figlia d’arte (suo padre è stato per lungo tempo chitarrista per i Four Tops), la Smith ha messo su quaranta minuti ed undici tracce della sua vita cantate e suonate con l’anima.

Dicono che l’omeopatia non sia curativa, che sia soltanto un placebo per gonzi. Forse perché non avete mai provato a curarvi con la musica, la quale non importa che ve la prescriva il medico e non ha controindicazioni. Funziona, fidatevi. Funziona davvero, è un balsamo per lo spirito e non solo.

Gizelle Smith forse avrà pensato le stesse cose quando dopo otto anni dal suo esordio come vocalist dei Mighty Mocambos ed essere precipitata in una brutta forma depressiva, ha deciso di lasciare la natia Manchester ed ha iniziato a scrivere le canzoni che dopo tutti questi anni di assenza possiamo oggi ascoltare in “Ruthless Day”, il suo primo album da solista uscito da poco per la Jalapeno Records.

Figlia d’arte (suo padre è stato per lungo tempo chitarrista per i Four Tops), la Smith ha messo su quaranta minuti ed undici tracce della sua vita cantate e suonate con l’anima. Se il canovaccio musicale con cui viene agghindata la musica soul è creduto per forza di cose alla stregua di una musica da svuota pensieri, ascoltando questo disco e leggendone attentamente i testi, ne avrete una smentita e verrete scaraventati dentro i fantasmi della Smith. Fantasmi, che va detto, vengono presi di petto dalla cantante inglese fino a farne esorcismo, e non è Padre Amorth questa volta a salvare capra e cavoli, ma più prosaicamente è la musica, è l’r’n’b dei maestri di cui sono permeate le canzoni, sono i moscoviti The Soul Surfers che hanno collaborato in tre brani, è il produttore e compositore Def Stef, è il soulman Eric Boss che collabora in due canzoni, è la garra funk che aleggia costante per tutto il lavoro, sono tutte queste cose messe insieme che ci fanno intravedere la luce.

È la voce di Gizelle Smith, calda, potente e morbida al tempo stesso, che fa di “Ruthless Day” un album che è ammantato di classicità ma con i piedi dentro questo secolo ed uno dei migliori dischi, tra le miserie quotidiane, ascoltati in questo scorcio di 2018.

Il soul è tornato, Alleluja!