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REVIEWSLE RECENSIONI
02/12/2021
dellacasa maldive
Sale Rosa
dellacasamaldive, con il suo nuovo "Sale Rosa", non solo fa un passo avanti rispetto al primo lavoro, ma realizza un prodotto che testimonia come si possa partire da una tradizione riuscendo a conciliare la sensazione di nostalgia a una rinnovata apertura alla contemporaneità.

Il processo di avvicinamento a Sale Rosa è durato poco più di un anno e si è aperto nell’ottobre scorso con “Fluido”, un brano che è poi stato lasciato fuori dal disco ma che ha posto in maniera inequivocabile premesse per un'evoluzione che, dopo un esordio come Amore italiano non avrebbe potuto essere più marcata. In realtà neanche questa affermazione è così vera perché, se si ascolta bene quel lavoro, ci si rende conto che l'amore per la Disco Music e per tutto ciò che, in campo elettronico, si può definire “Vintage”, era già in nuce all'interno di un'impostazione che, probabilmente anche sull'onda delle precedenti esperienze con Wemen e Verano, guardava ancora in maniera preponderante al cantautorato di casa nostra.

Poi c’è stata Parigi, dove si è recato per accompagnare la sua ragazza e dove ha incontrato una scena musicale varia e multiforme, cosa che lo ha spinto ancora di più nella direzione poi intrapresa.

Parigi è la protagonista del primo brano, “Sto perdendo me stesso”, che su una base tipicamente Disco presenta uno spoken word dove Riccardo Dellacasa racconta le sue vicissitudini, l'essere in una città straniera senza avere nulla di preciso da fare, vagabondare per le strade con la sensazione di non stare vivendo appieno la propria vita (che poi non è del tutto vero, perché a Parigi ha scritto gran parte di quelle che poi sarebbero diventate le canzoni del disco). C’è Max Collini come ospite, un intervento prezioso che avrebbe tuttavia potuto essere meglio capitalizzato (l'ex voce degli Offlaga Disco Pax si limita infatti a pronunciare poche frasi), e un lungo flusso di coscienza che nomina gruppi e locali storici, (ebbene sì anche il milanese Ohibò, un momento che mi ha fatto scendere una lacrima, devo confessare) in una sorta di richiamo ideale a quel manifesto dello scorso decennio che fu “Daft Punk is Playing in My House”.

Ed è un episodio che fotografa anche molto bene le principali caratteristiche di questo Sale Rosa: più musica e meno testo, strutture melodiche più adatte alla pista da ballo, con conseguente quasi totale abbandono della forma canzone. È evidente nella successiva “Voglio solo stare fuori all'aria aperta”, dove predomina una bellissima chitarra Funk, o anche nell'irresistibile “New Awakening, New Beginning”, che immagino dal vivo farà ballare parecchio. Stessa cosa per la conclusiva “Domani”, che conferma anche quello che è il mood principale di questo disco: un'allegria liberatoria, un ritrovato rapporto con se stesso dopo il periodo difficile, la febbre creativa come antidoto ai turbamenti esistenziali. E così se Amore italiano era un elaborato concept in cui trovavano spazio anche episodi drammatici e dove si respirava spesso un clima di incertezza diffusa, qui le cose sono diverse, non ci si vergogna di dire che si sta andando in giro per la strada a cantare a squarciagola sulla scia delle canzoni di Battiato (che sono poi un importante riferimento stilistico per questo lavoro) e che l’avvenire porterà senza dubbio novità positive.

C’è poi un'altra serie di canzoni che recuperano in parte la struttura, anche se l'elemento elettronico è maggiormente preponderante: c’è “Nora”, ammantata di una vena di piacevole malinconia, oppure “Lune”, impreziosita da versi cantati in francese, o ancora “Pedalini”, che ironizza sulla sua vicenda di Dj mancato ma che, di contro, possiede una forza ritmica che, potenzialmente, potrebbe fare sfracelli sul Dance Floor.

Il tutto corredato poi da un lavoro di arrangiamento e produzione decisamente notevole (Riccardo ha fatto tutto da solo, dimostrando un gusto ed un'intelligenza non comuni nella scelta dei suoni) con la ciliegina sulla torta del mastering di Andrea De Bernardi (Eleven Studios): sono tutti elementi che fanno di questo secondo disco di

dellacasamaldive non solo un passo avanti rispetto al primo ma anche un prodotto che, preso singolarmente, costituisce una testimonianza significativa di come si possa partire da una tradizione riuscendo tuttavia a conciliare la sensazione nostalgia (evidente nelle atmosfere evocate) con una rinnovata apertura alla contemporaneità (suoni, arrangiamenti, impatto generale). Dal vivo torneranno ad essere nuovamente una band e non vediamo l’ora di rivederli.