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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
08/09/2025
Pain Of Salvation
Scarsick
Un disco tanto schizoide quanto affascinante, che esplora svariati generi con intelligenza, senza perdere di vista un barricadero e radicalizzato messaggio politico.

Attivi fin dal 1991, gli svedesi Pain Of Salvation hanno sempre scritto musica densa sia sotto il profilo compositivo che lirico. Una complessità, quella della band capitanata da Daniel Gildenlow, che è cresciuta nel tempo, grazie a un approccio sempre più sperimentale alla composizione. Dal debutto intitolato Entropia (1997) e dall'eccellente seguito, One Hour By The Concrete Lake (1998) fino all'eccezionale Remedy Lane (2002), il loro sound era relativamente convenzionale, ma da Be (2004), un album fortemente filosofico caratterizzato da uno scarto selvaggio dalle convenzioni verso una varietà di suoni incredibilmente diversificata, la band ha fatto un incredibile salto di qualità, tanto anche da deludere i fan della prima ora, ma, per contro, riuscendo a sedurre una diversa fetta di pubblico.

Ebbene, Scarsick procede spedito per la strada tracciata dal suo predecessore, allontanandosi per fattura (e qualità) dal vecchio catalogo della band e rendendo ancora più difficile ogni generica catalogazione, per quanto il genere prog metal riesca a spiegare meglio di altri le due anime che convivono nel progetto Pain Of Salvation.

Scarsick, seconda parte di un concept che parte da The Perfect Element, part I (altro ottimo album datato 2000), è un disco militante, politicamente e socialmente impegnato, che affronta, senza mezzi termini, i temi del capitalismo, dell’imperialismo americano, della cultura del consumo, del declino etico dell’umanità e delle disfunzioni del materialismo. Ed è un disco arrabbiato, che non fa prigionieri. Nelle liriche si percepiscono tutto l’amaro cinismo e il profondo coinvolgimento emotivo di Gildenlow, uno che non le manda certo a dire. Ed è divisivo, lo amerete o lo odierete. Perché bisogna essere schierati, ad esempio, per apprezzare una canzone, "America", in cui il cantante recita versi come “Sick Of America... You could have been good America / Could have been great, America”. E invece…

 

Fatte queste premesse, Scarsick è un disco che spiazza, che mischia le carte a ogni brano, che non si lascia afferrare immediatamente, pur in un contesto di suoni e produzione estremamente coeso. Generi diversi, compattati in una scaletta che alterna accelerazioni e rallentamenti, melodia e furia, riflessione e aggressione all’arma bianca.

Il basso liquido e i continui cambi di ritmo che punteggiano l’iniziale title track evocano la vena pazzoide dei Faith No More, aleggianti in quel continuo alternarsi di groove pesi, melodie accattivanti condite con vaghe spezie mediorientali. Sette minuti di delirio che sfociano nell’altrettanto lunga "Spitfall", in cui il cantato rap si accende di rabbia su chitarre distorte e fremiti elettronici (Rage Against The Machine), prima che tra le fiamme spunti un ritornello pop irresistibile. Pura follia.

Tutto appare schizoide nello svolgimento di una scaletta che non dà riferimenti, tanto che non stupisce affatto che il terzo brano, "Cribcaged", bellissimo peraltro, giochi con sonorità rock più americane e un’atmosfera cinematografica malinconica da groppo in gola, mentre Gildenlow manda bellamente a fanculo il sistema. La citata "America" parte con un riff metal che potrebbe essere rubato a uno dei pezzi più rabbiosi dei System Of A Down, ma è uno specchietto per le allodole, perché il brano, tra sali e scendi, si sviluppa attraverso un melodicissimo gusto progressive, carezzevole e solare (mentre l’invettiva è inesorabile).

"Disco Queen" è probabilmente il brano più eccentrico del lotto. In apparenza è un brano puramente disco, o meglio una parodia o una caricatura di tutto ciò che c'era di orribile nella disco music. Ma se lo si riascolta, si percepisce un secondo, più potente filo conduttore di puro prog-metal classico in stile Pain Of Salvation che si insinua nella trama e contribuisce a trasmetterne il messaggio. Geniale.

 

La seconda metà del disco si apre con "Kingdom Of Loss", una ballata spettacolare, in cui è possibile cogliere richiami al prog più classico (Pink Floyd, Marillion, etc.), mentre "Mrs Modern Mother Way", scivola via su un groove funky non indimenticabile e su una ritmica in leggero controtempo. Idiocracy si addentra nel territorio prog, mostrando la caratura tecnica di una band che gioca consapevolmente con il bizzarro, abbinando riff grunge, elettronica, ritmi dispari, falsetti stranianti, cori dal sapore chiesastico e un senso malevolo di tragedia incombente.

Chiudono la tensione parossistica di "Flame to The Mooth", serpeggiante e inquietante, decisamente il brano più furente del lotto, e i dieci minuti di "Enter Rain", brano che scivola mesto su una melodia malinconicissima, prima di accendere la miccia a un ritornello aggressivo, ma non memorabile come il resto della canzone.

 

Scarsick rappresenta l’ennesimo capitolo di una band che definire avventurosa è dir poco: un viaggio di un’ora in un tracciato fascinoso, in cui le curve, spesso a gomito, sono molto più numerose dei rettilinei. Una volta alla guida, però, è davvero difficile smettere di spingere l’auto verso l’orizzonte. Indefinito, ma ricco di suggestioni.