Giorgio Poi è tornato a Roma, la sua principale città d’adozione, dopo 17 anni di assenza, la maggior parte dei quali (o tutti, non lo so con certezza) passati a Bologna. Se pensiamo che la sua carriera solista, dopo l’esperienza dei Vadoinmessico, comincia nel 2017, se ne deduce che questa sia la prima volta che le suggestioni della Capitale influiscono direttamente nel suo processo di creazione artistica.
A Roma ha messo in piedi uno studio nel quale lavora ai suoi ritmi, senza distrazioni o pressioni. Fa tutto lui, anche la batteria, ragion per cui, come ha dichiarato, i tempi possono essere un po’ più dilatati del normale. Se vi state chiedendo come mai ci ha messo quattro anni per tornare sulle scene, ancora una volta con un disco di poco più di mezz’ora di durata, la risposta potrebbe essere questa.
Ci sono fondamentalmente tre elementi che aiutano ad inquadrare questo quarto capitolo della discografia dell’artista di Novara: il primo, lo abbiamo già detto, è il suo ritorno a Roma; il secondo è il suo rapporto speciale con i Phoenix, che dura ormai da tempo e che si è concretizzato in tour congiunti e collaborazioni di vario titolo. Che il sound di Giorgio avesse diversi punti di contatto col Pop raffinato di Thomas Mars e soci non è un mistero, ma a questo giro l’influenza si fa più evidente, considerato che il chitarrista Laurent Brancowitz ha “ufficiosamente” supervisionato il processo di lavorazione dei nuovi brani.
Da ultimo, ci sono le vicissitudini personali. Giorgio non è entrato nel dettaglio e neanche noi vogliamo sapere, ma non ha fatto mistero che il titolo Schegge alluda ad una vita di cui è impossibile tenere assieme i pezzi, per cui arriva un momento in cui scegliere di lasciarli esplodere e vagare di qua e di là, come frammenti impazziti, potrebbe essere una condizione necessaria per riuscire poi, con calma, a rimettere tutto assieme secondo una differente modalità.
Scritto tra il 2022 e il 2024, Schegge parrebbe dunque rappresentare una sorta di approdo ad una nuova fase di consapevolezza di sé e dei propri mezzi, l’approdo ad una riconquistata maturità.
Se non fosse che Giorgio Poi maturo lo è sempre stato. Sin dal debutto con Fa niente, uscito in piena esplosione It Pop, ha fatto capire che con quel modello di cantautorato che stava facendo impazzire le giovani generazioni di italiani, aveva ben poco da spartire. Troppo ricercato nei testi, troppo sofisticato musicalmente, perché l’ascoltatore medio di Calcutta e Gazzelle potesse trovarlo appetibile.
Eppure, in modo graduale ma inesorabile, è successo: che siano state le collaborazioni coi “Big” (vedi lo straordinario successo di “Missili” con Frah Quintale, il fortunato duetto proprio con Calcutta nella divertente “La musica italiana”, ma anche il suo contributo allo “svecchiamento” di Luca Carboni con “Prima di partire”), le sue indubbie doti da compositore di colonne sonore (ha firmato quella della serie tv Summertime, prodotta da Netflix) o ancora la scintillante anima Pop evidentemente intrinseca al suo modo di scrivere (Smog, in questo senso, risulta tuttora inarrivabile), sta di fatto che, pur senza totalizzare i numeri di certi nomi, Giorgio Poi si è ormai imposto come uno dei cantautori più importanti di quella che potremmo definire “Nuova ondata post-Mainstream (intendendo, evidentemente, il disco di Calcutta del 2015).
Schegge, da questo punto di vista, dice pochissimo di nuovo: al di là del cambiamento di città e del metodo di lavoro, si tratta di canzoni che si muovono in piena continuità con quanto già ascoltato, solo con una maggiore cura dei dettagli nelle diverse soluzioni di arrangiamento.
Non si tratta per forza di un elemento negativo: in questo tipo di proposta, costantemente in bilico tra Pop e cantautorato, quel che conta è che i pezzi siano solidi, e direi che anche questa volta ci siamo. Melodie sempre limpidissime, tenute in piedi soprattutto dai Synth, ma con chitarra e sezione ritmica a variare ed arricchire le dinamiche, l’onnipresente atmosfera da colonna sonora (anche a questo giro la title track è un brano strumentale, denso di capacità immaginifica e ben lontano dall’essere un semplice intermezzo), i ritornelli irresistibili, specie quando accompagnati da una crescita di intensità (“Nelle tue piscine”, “Tutta la terra finisce in mare”, una straordinaria “Les jeux sont fait”, che va ad annoverarsi direttamente tra le cose migliori della sua carriera): tutti questi ingredienti fanno di Schegge un disco solidissimo, esempio di visione artistica che in Italia hanno veramente in pochi.
Anche dal punto di vista lirico funziona tutto: da sempre lontano dalle ruffianate autocompiaciute dell’It Pop, Giorgio preferisce lavorare sui dettagli, ammantando i vari brani di un sentore tra l’onirico e il surreale, raccontando storie concrete ma senza mai preoccuparsi troppo di farsi capire, lasciando costantemente aperta la porta a molteplici livelli di lettura.
L’esempio migliore lo troviamo probabilmente nell’ipnotico languore di “Uomini contro insetti” (va da sé, una delle migliori in scaletta) che cita Bertrand Russell ma si muove in bilico tra squarci di quotidiano e suggestioni apocalittiche, ma anche nella conclusiva “Delle barche e i transatlantici”, che utilizza l’immagine della navigazione per esprimere riflessioni che travalicano tempo e luogo, andandosi a situare in una terra indecifrabile di aforismi e massime esistenziali (“I salti mortali fanno paura/anche a chi dice che non ne ha/mentre i biscotti della fortuna/dicono sempre la verità”).
Altrove ci sono istantanee di relazioni affettive, frammenti di vita vissuta, con l’interlocutore sempre adombrato da giochi di metafore e folgoranti analogie (“È già domani/seduti sui divani/Sfogliavo i tuoi capelli con le mani/ehi se vuoi rimani/siamo fiori sui vulcani,/i cinema nei centri commerciali.”).
Si è discusso a lungo e si continua a farlo, su quale sia la via migliore al cantautorato italiano, in questi tempi di recupero della tradizione, reiterazione degli schemi e decadimento artistico. Una possibile strada che sia per tutti, non solo per i giovani, l’ha recentemente indicata Niccolò Contessa tornando sulle scene coi suoi Cani (qui la recensione); l’altra, che vi piaccia o no, è quella che Giorgio Poi sta percorrendo da otto anni a questa parte. C’era stata una leggera flessione con Gommapiuma ma adesso sembra tornato bene o male ai suoi livelli di sempre.