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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
26/01/2022
Due chiacchiere con...
Season. Il progetto di Francesco Caggiula.
Season è un progetto solista ma si avvale di un'intera band; è stato realizzato da un ragazzo cresciuto a Gallipoli ma ormai da anni a Bologna; italianissimo, ma cantato in inglese. Season è indie rock, lo-fi, ma anche molto altro. Get Closer è il suo esordio, scopriamolo insieme grazie alle parole dello stesso Francesco, in arte Season.

Può ancora avere senso utilizzare l’etichetta “Indie Rock” o “Lo Fi” per definire certe esperienze radicate in un contesto spazio culturale ormai tramontato? Potrebbe anche essere, nella misura in cui siamo d’accordo sul fatto che le etichette, in quanto tali, sono sempre parziali e riduttive. Francesco Caggiula è cresciuto a Gallipoli e si è poi trasferito a Bologna, il suo percorso musicale ha preso dunque il via da una città che per decenni (e in larga parte ancora adesso) ha rappresentato uno dei punti infuocati della scena musicale italiana nonché della controcultura europea.

Season, il progetto che ha avviato da solo ma che di fatto si avvale di una vera e propria band, soprattutto dal vivo, ha debuttato lo scorso ottobre con Get Closer, esordio sorprendente soprattutto qualora si pensi che questo potente richiamo alla scena anglosassone, tra echi di Wild Nothing, DIIV e Grizzly Bear, senza dimenticare gli Smiths e tutto il movimento Jangle Pop a costituire una sorta di ispirazione non detta, non è certo destinato a facile successo nel nostro paese, soprattutto nell’eventualità che si decida di cantare in inglese, come in questo caso è avvenuto.

Francesco se ne frega abbastanza di queste logiche e suona semplicemente ciò che gli piace: prodotte da Matilde Davoli, queste dieci canzoni rappresentano una sana boccata d’aria fresca, oltre all’ulteriore conferma che occorrerebbe scavare di più in queste nicchie dimenticate, alla ricerca di tesori nascosti. Ne ho parlato un po’ con lui.

 

Da dove ti è venuta la passione per la musica e come sono stati i tuoi primi passi in questo campo?

Mio padre e mio zio avevano delle chitarre acustiche e suonavano spesso insieme, perlopiù canzoni popolari e classici dei cantautori italiani. Quando avevo 15 anni ho chiesto a mio padre di insegnarmi gli accordi necessari per imparare a suonare le canzoni degli Oasis e dei Blur. Poco dopo ho preso lezioni private da un bravissimo maestro vicino casa e formato una band con i miei compagni classe, i Galvanize (come il brano dei Chemical Brothers uscito in quegli anni). Dopo quasi vent'anni, gli unici sopravvissuti siamo io e Alessandro Gatto, che mi accompagna con l'altra chitarra sia nei live full-band che nei live in acustico.

 

Il monicker Season è particolare ma allo stesso tempo piuttosto comune, immagino soprattutto che non ti faciliti l'essere cercato su internet o sui canali Social. Da dove viene questa scelta?

Quando cercavo un nome da dare a questo progetto ero circondato da questa parola: le stagioni delle serie TV, le stagioni del campionato di calcio e così via. Inoltre la parola season è formata da "sea" e "son": essendo originario di Gallipoli, in provincia di Lecce, ho sentito che era la scelta che più mi rappresentava. Forse anche perché mi ero laureato da poco e avevo cominciato a lavorare, quindi si stava aprendo una nuova stagione della mia vita… Insomma si può leggere in tantissimi modi, che ognuno scelga il suo preferito.

 

Hai scelto un genere molto preciso e ben connotato, che però in Italia non gode esattamente di popolarità. Anche il cantare in inglese non depone a tuo favore ma immagino che tu faccia quello che ti piace fregandotene del resto, giusto?

Di base, non ho mai pensato alla musica come un mezzo per diventare ricco o popolare. La scelta di un genere è il risultato dei nostri ascolti e la ricerca costante di un linguaggio musicale che ci faccia esprimere nella maniera più naturale possibile. La scelta di usare la lingua inglese è data dal suono delle parole che, a mio parere, si sposano meglio con il genere di musica che scrivo.

 

Mi racconti un po’ del processo di lavorazione dell'album, tra scrittura e registrazione?

Quando ho scritto le prime canzoni non pensavo di doverle unire in un album. L'intento principale era provare a farle suonare in sala prove e cercare di fare dei concerti. Ad un certo punto però, ho sentito il bisogno di mettere ordine alle idee che avevo in testa e ho iniziato a registrare delle demo nella mia cameretta a Bologna. Credo di aver messo mano ai brani, cambiando suoni e arrangiamento, diverse decine di volte e quando mi sono accorto che ormai avevo sviluppato un'idea di base ho deciso di scrivere a Matilde per chiederle di lavorare insieme alla registrazione dei brani.

 

Ecco, appunto: ti sei avvalso del contributo importante di Matilde Davoli. Da dove nasce questa collaborazione? Qual è stato, a tuo parere, l'apporto indispensabile che ha fornito al disco?

Matilde è un'artista che ho sempre seguito in tutti i suoi progetti, l'ho vista suonare dal vivo tantissime volte in giro per la provincia di Lecce. Poi, mentre stavo ultimando le mie demo, sono andato a trovare il mio amico Mike Sun che stava registrando il suo disco al Sudestudio con Matilde. Quel pomeriggio mi è servito per capire che anche io avrei voluto fare la stessa esperienza lì, nella comfort zone della mia provincia di provenienza.

Il lavoro di Matilde in fase di registrazione, mixaggio e mastering è stato fantastico e i suoi consigli nei momenti in cui mi sentivo indeciso e bloccato sono stati preziosissimi. Era la prima volta che cantavo in studio, con la pressione di dover chiudere un disco in quattro o cinque giorni. Quando non riuscivo a prendere delle note, spesso me le intonava lei dalla regia. È stato quasi come tornare a scuola, o forse a ripetizioni private.

 

Get Closer è un titolo emblematico, soprattutto in questi ultimi anni in cui abbiamo fatto del nostro stare a distanza una nuova condizione di normalità. Vedo tante persone, purtroppo sempre in aumento, che considerano i rapporti a distanza, attraverso lo schermo di un computer, altrettanto intensi e costruttivi di quelli che avvengono “in presenza”. Che ne pensi?

Nonostante io passi troppo tempo sui social network, whatsapp e i vari servizi per effettuare videochiamate, credo che coltivare rapporti reali sia indubbiamente indispensabile per crescere come persone. Abbiamo un bisogno fisico dell'altro. Si comunica con tutti i cinque sensi. I supporti digitali possono essere utili per stringere rapporti, fare nuove amicizie ma queste non saranno mai altrettanto forti quanto quelle che si creano nella vita reale.

 

“Athens” è uno dei brani del disco che preferisco. È ispirato ad una tua visita nella città?

Sono stato ad Atene solo una volta, per vedere la finale di Champions League Milan - Liverpool. Fu la rivincita della finale persa due anni prima. "After every Istanbul there's always an Athens" vuole essere un invito ad attendere con calma il proprio turno, con calma e dedizione i nostri obiettivi si realizzeranno.

 

Come ti trovi a Bologna? In molti mi dicono che ha perso il fascino di un tempo ma vedo che ci sono ancora tanti musicisti che provengono da lì o che vi si trasferiscono...

Vivo a Bologna dal 2013, spero di restarci più a lungo possibile e ho sempre percepito questa forza che attrae tanti musicisti da diverse parti d'Italia. Ci sono tanti live club e comunque sempre un certo via vai di artisti. Non so dire se è Bologna ad essere cambiata o io/noi ad essere invecchiati. Ci penserò su.

 

Personalmente trovo che l’attuale periodo sia parecchio dispersivo per quanto riguarda le uscite discografiche. Esce troppa roba, anche importante, e se aggiungiamo l'appiattimento sull'istante che il meccanismo dei Social ha portato, va a finire che anche lavori che meriterebbero parecchio vengano dimenticati dopo pochi giorni. Da ascoltatore e musicista, come la vivi questa cosa? Hai trovato tempo per affezionarti a qualche disco, di quelli usciti nel 2021?

Sicuramente lo streaming ha cambiato le abitudini degli ascoltatori. La fruizione di un album è diventata velocissima, lo si può ascoltare una volta e non ascoltarlo mai più. Difficilmente ci si affeziona agli artisti come poteva succedere una volta, quando il supporto fisico era un simbolo che legava l’artista ai suoi fan. Potenzialmente questo potrebbe essere il mio caso, un progetto piccolo non ha la forza economica di comparire decine di volte al giorno sulle sponsorizzate dei vari social network, di conseguenza la fruizione dei miei brani resta legata alla mia bolla social e poco più. Detto ciò devo dire che io continuo a trovare interessanti e stimolanti anche le nuove uscite. Gli album che nel 2021 ho apprezzato di più sono Shore - Fleet Foxes, A Beginner’s Mind - Sufjan Stevens e Angelo De Augustine, Waltzing Back - No Vacantion, Collapsed in Sunbeams - Arlo Parks, Fever Dreams - Villagers.

 

Come siamo messi a live? Hai intenzione di organizzare qualcosa se la situazione lo permetterà?

Certo, non vedo l’ora! La band è già pronta e caldissima. Dal vivo saremo in cinque sul palco, i musicisti che mi accompagneranno saranno Eliano Ficca (batteria), Enrico Dolcetto (basso), Alessandro Gatto (chitarra) e Alessandro Solidoro (synth).

Ho inoltre trovato da poco un booking che mi aiuterà ad organizzare delle date che spero arriveranno dalla fine di febbraio e, magari, continueranno per tutta l’estate. Ovviamente il sogno è riuscire a portare il live oltre le Alpi. Finger crossed!