Avevamo lasciato i Gogol Bordello nel 2013, anno di uscita di Pura Vida Conspirancy, un pastrocchio in salsa sudamericana che, per quanto riguarda chi scrive, ha rappresentato il punto più basso della loro carriera. Tanto che, prima di iniziare l’ascolto di questo nuovo album in studio, il settimo per la precisione, ho dovuto vincere parecchie remore e fare tutte le scaramanzie di rito. Eugene Hutz, però, è quel che si dice un cane sciolto e non sai mai davvero che cosa aspettarsi da ogni uscita discografica della sua band. Messo sul piatto, infatti, Seekers and Finders è molto meno peggio di quanto mi aspettassi. Non che fosse particolarmente difficile fare un disco che suonasse più dignitoso del suo predecessore; tuttavia, in scaletta, c’è anche qualche canzone discreta, di quelle che fanno tornare in mente i momenti di maggior gloria dei Gogol Bordello. I tempi di Gypsy Punk: Underdog World Strike (2005) sembrano, però, essere stati quasi completamente archiviati. Quella adrenalinica patchanka, discarica abusiva di scorie punk, eccitazione alcolica e tzigana da finale di matrimonio e verace folk rock metropolitano, si è un po’ acquietata, cedendo il passo ad arrangiamenti piacioni e a una normalizzazione delle melodie, che ora strizzano l’occhio a un pubblico decisamente più eterogeneo e dalle orecchie più dolci. Insomma, qualcuno ha allungato la vodka con la coca cola e il ghiaccio, e i tempi di Santa Marinella, con quella bestemmia in italiano che suggeriva una sfrontata ribellione usque ad finem, si stanno manuchaoizzando in modo irreversibile. In Seekers And Finders, tuttavia, Eugene Hutz tiene ancora botta, rispolverando in qualche episodio (Did It All, Saboteur Blues, Love Gangster) il repertorio dei giorni migliori e tentando anche qualche piccolo scarto rispetto alla consueta (e consunta) formula (If I Ever Get Home Before Dark). Per il resto, prevalgono brani più melodici, alcuni riusciti (la title track in duetto con Regina Spektor) altri molto meno (la terribile Familia Bonfireball), e ballate caciarone e alcoliche come la conclusiva, e inutile, Still That Way. Un disco, dunque, che pur rimettendo in carreggiata quella macchina da guerra chiamata Gogol Bordello, manca del carburante nobile necessario a scatenare l’inferno come succedeva un decennio fa. Un sei nostalgico o poco più.