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REVIEWSLE RECENSIONI
26/11/2025
Dust
Sky Is Falling
Provateci voi a suonare post-punk con un sax senza cadere nei luoghi comuni. Rabbia e melodia possono convivere egregiamente, e Sky Is Falling lo dimostra senza mezzi termini.

Non si può far finta di niente al cospetto di un sax nella line up di una band dichiaratamente post-punk. Il sax, come tutti gli strumenti a fiato, funziona un po’ da naturale protesi del timbro di chi lo suona. L’estensione di una parte del corpo di un essere umano musicista come tutti gli altri ma che, direttamente collegato con il soffio, elemento che più di ogni altro nasce da dentro, è espressione di un link con una componente per molti aspetti sconosciuta. Una voce in più, melodica, rabbiosa, gridata o sommessa. Un alter ego più intimamente controllabile, se lo sai suonare bene, e per forza di cose più autentico. 

In un mondo elettrico ed elettronico come quello della musica dei nostri tempi, a maggior ragione come quello del post-punk, un sax incaricato di occuparsi di temi, di risposte, di contro-ricami (proprio come impone la presenza di un sax in un contesto non jazz) destabilizza fortemente la composizione d’insieme potenziando l’aspetto evocativo e romantico in un modo che solo uno strumento a fiato, per tutto quello che ci siamo detti prima, è in grado di offrire.

Non sarà possibile, quindi, non sforzarsi di cogliere il sax come fattore complementare di ogni brano. Andare a scovare, negli interstizi di ogni canzone, la versione del sassofonista. Ma nel caso dei dust, come si chiamano loro, con la d minuscola e vai a sapere il perché, non c’è solo questo. La giovanissima band australiana (Justin Teale e Gabriel Stove alla voce e chitarra, Adam Ridgway al sassofono, Liam Smith al basso e Kye Cherry alla batteria) ha dato alle stampe il primo long playing dopo una serie di singoli pubblicati dal 2023 e che hanno destato curiosità grazie alla qualità del songwriting provocatorio - loro stessi sono primi ad autodefinirsi così.

 

Sky Is Falling è un album solido e gradevolissimo, a tratti colpevole di qualche clichè del genere di appartenenza ma, nel complesso, fresco e immediato come tutte le opere prime delle band giovani e di ultima generazione. Di certo uno dei migliori esordi dell’anno. 

Il disco parte con un’esplosione di chitarra da cui si sgancia immediatamente un pattern di batteria esagerato con i suoi velocissimi e ai limiti dell’umano sedicesimi di hi-hat. Il biglietto da visita offerto da “Drawbacks” ha dell’incredibile. Nei primi trenta secondi della canzone i dust ci offrono un Bignami del loro sound: voce baritonale, risposte di sax, basso suonato con il plettro, riusciti intrecci di chitarra e elegante controllo della potenza di suono. 

Atmosfera che si conferma nel crescendo che introduce alla seconda traccia, “Just Like Ice”, un brano dalla struttura armonica molto più scomoda. Il riuscito arpeggio iniziale di “Alastair” (uno dei brani migliori del disco) e il suo articolato sviluppo ci mostra il lato più maturo della band e la sua abilità nel ricorso ad arrangiamenti complessi nei momenti più ispirati. Il passaggio alla canzone successiva, “Two Dogs”, non è facile da cogliere, quasi che i due pezzi costituiscano due tempi di una suite nata dalla stessa sommessa cellula compositiva. 

La rabbia post-punk ritorna però più dissacratoria che mai nel ruvidissimo no-wave di “Swamped”, in cui si fa fatica a eleggere la parte strumentale più folle. “Restless”, “Aside” e “Fairy” sono struggenti (e bellissime) ballad che non sfigurerebbero in Romance dei Fontaines D.C., anche se è ancora una volta l’uso sapiente del sax a farci rientrare nei confini del suono che rende i dust così incredibilmente unici. Giusto il tempo dell’ultima impennata di energia compressa in “Day Tight” che è già il tempo di salutare questo imperdibile esordio. Un disco che ci lascia con la malinconia di “In Reverie”, la sua coda parlata e il suo magistrale sax da colonna sonora sui titoli di coda.

Non sono poche le intuizioni comprese in Sky Is Falling a restituirci un suono fortemente intrigante. Nonostante in alcuni casi si percepiscano smaccatamente gli echi dei padri ispiratori del loro stile, l’ascolto dei dust lascia indubbiamente a bocca aperta. Davvero una bella sorpresa, questa volta dall’Australia.