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REVIEWSLE RECENSIONI
18/06/2018
Lykke Li
So Sad, So Sexy
Dove in I Never Learn, il dolore aveva incastonato nel ghiaccio dei sentimenti autentiche perle di tagliente disperazione, in So Sad, So Sexy, la nuova Lykke Li sembra aver perso la bussola del cuore, preferendo la forma alla sostanza, rincorrendo melodie puerili, espedienti da sentimentalismo adolescenziale, inutili orpelli elettronici

Forse è vero quel che si dice, e cioè che l'arte, soprattutto nella sua accezione più sincera, nasca spesso dal dolore e dal tormento, e che gli amori impossibili o infelici generino un surplus di letteratura rispetto a rapporti stabili, solari e gioiosi. Non è un caso, allora, che Lykke Li, giovane e talentuosa cantautrice svedese, letteralmente travolta da una storia d’amore finita male, pubblicò, nel 2014, I Never Learn, un disco bello e sofferto, apice di una carriera fino ad allora in crescendo.

Quel disco era qualcosa di completamente diverso rispetto ai suoi predecessori, un’opera nata per confrontarsi e convivere con la perdita, con il senso dell'abbandono, con la sofferenza di sogni irrimediabilmente infranti; rifletteva un momento buio, una parentesi di vita che tutti, nel loro personale microcosmo emotivo, hanno vissuto, ma che le mani di una donna sensibile come Lykke trasformavano da tragedia personale a messaggio universale, percorso di salvezza e sublimazione del dolore.

Come una Madonna addolorata, una vedova inconsolabile, con occhi persi in una plaga di buio, in cui tutto è amarezza e rabbia, e l'espressione di chi è prossima, a un naufragio interiore, la songwriter svedese tratteggiava, con totale assenza di colori, un disco maturo ed equilibrato, poetico e lancinante, in cui la vita e l’amore parevano sprofondare e svanire in un inverno senza fine.

Oggi, quella vita che sembrava perduta per sempre, è tornata a splendere come il sole in una giornata di primavera, dal momento che Lykke ha trovato un nuovo compagno, con il quale ha anche messo al mondo un figlio. Le ombre del passato, ora, sono svanite, restano solo come un brutto ricordo e monito per il futuro. La svolta è So Sad, So Sexy, quello che dovrebbe essere il disco della rinascita emotiva, e forse lo è pure, ma che risulta però un passo falso nella crescita artistica della svedese.

Un lavoro, lo diciamo subito, in cui, a dispetto del titolo, il sexy è di gran lunga preponderante rispetto al sad. Poca tristezza, dunque, e molto hype, per una ragazza che, salva dai propri fantasmi interiori, sembra aver smarrito il bandolo della matassa dell’ispirazione, cesella le canzoni utilizzando tutti gli artifici di sonorità modernissime (trap, nu soul, hip hop) ma gigioneggia, con la voce e col pathos, senza troppa convinzione.

Dove in I Never Learn, il dolore aveva incastonato nel ghiaccio dei sentimenti autentiche perle di tagliente disperazione, in So Sad, So Sexy, la nuova Lykke Li sembra aver perso la bussola del cuore, preferendo la forma alla sostanza, rincorrendo melodie puerili, espedienti da sentimentalismo adolescenziale, inutili orpelli elettronici e arrangiamenti fumosi, che tolgono sapore alla già poca carne al fuoco.

Certo, non tutto è pessimo e anche in una scaletta non propriamente ispirata, qualcosa di buono da salvare c’è: la trap elegante di Deep End, i toni melodrammatici ma sinceri di Better Alone, la melodia ingenuamente mainstream ma efficace della conclusiva Utopia. Un po’ poco, però, per un artista che non più tardi di quattro anni fa ci aveva fatto gridare al miracolo e che ora finisce dispersa nel mare magnum di una moderna e prevedibile normalizzazione.