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REVIEWSLE RECENSIONI
25/07/2025
M(h)aol
Something Soft
Something Soft è una carezza in un pugno, anzi no, un pugno e basta.

Sull’ironia del titolo, siamo tutti d’accordo. Questa è l’idea di morbidezza secondo i canoni di Constance Keane, batteria e voce, e Jamie Hyland, che oltre a suonare il basso e al backing vocals ha anche prodotto il disco. Il loro progetto M(h)aol ha un nome che si scrive così, con le parentesi ai lati dell’acca, un termine che in irlandese significa bold (nel senso di coraggioso, non certo grassetto) e che si pronuncia male, cioè maschile, uomo. Un paradosso per una band che nasce composta solo da donne e che si autodichiara radicale, punk e femminista.

Something Soft è un ritorno, spiazzante e rumoroso. Dalle prime note di “Pursuit” all’ultima distorsione della lancinante coda di “Coda”, appunto, nel disco si professa uno spietato abuso del conformismo sonoro e ideologico, in un’opera caustica e stratificata che fonde una abrasiva no wave insieme a sonorità noise e industrial, ordita con un’attitudine punk nell’accezione più moderna del termine e che non fa sconti a nessuno, soprattutto all’androcentrismo.

 

Se Attachment Styles, il loro debutto del 2023, affrontava temi come la violenza di genere e i traumi della ricerca dell’identità con una lucida ferocia (“Bored of Men” e “Sexual Anxiety” sono titoli che non lasciano adito a equivoci), ma con uno stile fin troppo immediato e a tratti impulsivo all’eccesso, Something Soft risulta un lavoro più ponderato, strutturato e maturo e, a proposito di contenuti, con uno spettro tematico più ampio: dall’amore per gli animali alla misoginia, dall’isolamento sociale alla cultura consumistica, passando per una riflessione sferzante sulla mascolinità tossica e sui paradossi del digitale (“You Are Temporary, But the Internet Is Forever” è uno migliori titoli mai sentiti).

L’aspetto di fondo resta però invariato, traccia dopo traccia, ed è la tensione costante che attraversa ogni brano. Ovunque si soffre una sensazione di allarme emotivo così forte da indurre alla somatizzazione, qualcosa di molto più che un’ansia da ascolto aumentata dal lavoro svolto in produzione, un’impronta che ha reso ancora più claustrofobica questa manciata di brani già dolenti in partenza. Something Soft è un disco spigolosissimo, in cui si ha l’impressione perpetua di inciampare e prendere gomitate in ogni brano, anche nei momenti apparentemente più confortevoli.

Constance Keane è già un prodigio di per sé, con il suo drumming così scarno e improbabile da sfuggire da ogni classificazione tecnica - un approccio derivante dal suo precedente progetto minimal ed elettronico Fears - e il suo stile vocale, con il quale alterna sussurri inquieti a urla liberatorie, dando forma a un linguaggio espressivo che trasforma il disagio in potenza. Al suo fianco, Jamie Hyland e il chitarrista Sean Nolan, contribuiscono a oltraggiare ogni tentativo di paesaggio sonoro accomodante con pennate taglienti e irregolari, dissonanze e decostruzioni tra di loro perfettamente complementari.

 

L’apertura è affidata a “Pursuit”, pezzo sinistro e ipnotico che racconta la paura di essere seguiti di notte, attraverso una linea vocale che gioca con l’identità di genere come strategia di sopravvivenza: “If I stand really straight, will you think I’m a man?”. È solo l’inizio di un percorso nel vuoto che si fa sempre più disturbante. “Clementine” è un’esplosione di ansia in forma musicale, “I Miss My Dog” trasforma il lutto per un animale domestico in un rituale di evocazione, in “DM:AM” sono gli uomini che si giustificano con scuse patetiche a essere messi alla berlina, mentre “Vin Diesel” è una denuncia al consumismo inteso come trappola grottesca e disumanizzante.

Ma è il genere maschile a uscirne peggio di tutti. “E8/N16” è una sorta di cantilena delirante in cui Constance Keane ripete in un loop ossessivo e satirico ventun nomi di uomini, mentre “Snare” prende di mira il mansplaining nel settore musicale, in un dissacrante testo a elevato contenuto ironico. 

Ogni traccia sembra costruita su un equilibrio instabile tra sarcasmo e disperazione, distacco realistico e vulnerabilità radicale. L’album non propone soluzioni o vie di fuga. Something Soft impone la permanenza nel disagio, la convivenza con la tensione e il rumore.

 

Il suono degli M(h)aol è intenzionalmente ruvido e mai patinato. Uno stile che si avvicina più al nervo scoperto dell’art-punk e del noise rock che al revival levigato di tanto post-punk contemporaneo. Ma non si tratta di una caotica nostalgia hardcore: è piuttosto una risposta lucida e viscerale al presente. I momenti più estremi – come l’urlante “Coda”, che chiude il disco come un rave finito male o un incubo a occhi aperti – convivono con episodi più grotteschi e stranianti, come il finto jingle telefonico “1-800-Call-Me-Back”.

Something Soft è un’opera che spiazza, affascina e demolisce. Non c’è nulla di consolatorio o anche un solo spunto per piangersi addosso. I M(h)aol sono diversamente accondiscendenti e il loro intento sembra fatto apposta per non cercare facili consensi o il clamore nella moda del momento. Il loro ritorno è un esperimento tutt’altro che inclusivo, una ricerca dello sforzo per attivare connessioni autentiche, anche se letali. Il progetto di Constance Keane riesce nell’impresa impossibile di fare politica senza retorica, con intelligenza, ironia e una straordinaria coerenza artistica. Ci vuole consapevolezza per ascoltarlo tutto, per ripeterne una seconda volta la riproduzione completa, per adottarlo come sottofondo per le proprie angosce, ma ne vale la pena. A meno che non ci si voglia privare di una delle voci più radicali, genuine e indispensabili del post-punk odierno.