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REVIEWSLE RECENSIONI
07/08/2025
Cwfen
Sorrows
L'intrigante esordio degli scozzesi Cwfen, una miscela oscura e disturbante di doom, goth rock e post punk.

Arrivano da Glasgow, si chiamano Cwfen (ma si pronuncia Coven), e debuttano con questo Sorrows, un disco che si muove per aspri territori gothic doom, esplorati nello ore che vanno dal crepuscolo alla notte fonda. Un esordio che colpisce fin da subito per le atmosfere claustrofobiche e cupe, per quelle paure ancestrali evocate da un’oscurità attraversata da incubi e da fantasmi, nella quale non filtra mai un raggio di luce, e in cui è palpabile una fremente tensione, solo a tratti mitigata dal gusto dolce amaro della malinconia.

Un dagherrotipo color seppia che fotografa una band già consapevole dei propri mezzi, abile nel combinare il passo pesante del doom con diversi elementi, come la sensuale spavalderia dei Type O Negative, lo stile cinereo di Chelsea Wolfe o scorie post punk prese in prestito dagli anni di gloria del genere. Riff pesanti, chitarre aspre, il cantato che alterna voci pulite a screaming (la prova sublime della vocalist Agnes Alder), e un mood che oscilla fra l’epico e il catacombale.

 

Il disco si apre con "Fragment I", il primo dei tre brevi intermezzi strumentali dallo stesso titolo che punteggiano la scaletta, seguita, poi, dalla prima vera composizione, "Bodies", quasi sette minuti di doom profondo e ansiogeno: riff ossianico, ipnotico e livido, attraversato da brevi e lancinanti assolo e avvolto nella voce della Alder, il cui timbro passa dell’etereo al salmodiante, prima di esplodere in un luciferino screaming. Per contrasto, la successiva "Wolfsbane" accelera il passo, il riff è dichiaratamente goth rock (una versione pesante dei Sisters Of Mercy) e ancora una volta è la vocalist a prendersi la scena, con una performance ipnotizzante, sia quando spinge la tensione a livelli melodrammatici sia quando imposta il timbro da sacerdotessa della notte, braccia levate al cielo a evocare un rito pagano.

E’ questo, senz’altro, uno dei punti di forza di Sorrows: la voce. Agnes raggiunge un equilibrio perfetto tra la delicata vulnerabilità espressa in molti testi e la sua capacità di esprimere una rabbia tagliente quando l'umore lo richiede. Con un'abilità da musicista navigata e una padronanza perfetta della tecnica, la voce della Alder riesce sempre a trasmettere un'emozione straziante.

Non immediatamente assimilabile, eppure egualmente accessibile, il disco mostra i propri pregi ascolto dopo ascolto, soprattutto quando emerge la capacità della band di muoversi su un canovaccio ben delineato, senza, tuttavia, ripetersi, ma cercando per ogni brano qualche elemento distintivo, messo in luce da una produzione che lascia trasparire gli elementi più torbidi e scabrosi.

 

"Reliks" è una bomba post punk, che innesca una bella melodia, prima di esplodere in un climax disperato, "Whispers" fluttua dilatata tra sogno e realtà, una ballata in cui le chitarre e il tappeto insistente dei piatti accompagnano la voce della Alder tra estasi celestiale e sprofondo emotivo, mentre inserti di screaming provenienti dell’al di là sporcano l’ennesima melodia vincente. E se le dissonanze iniziali spingono "Penance" in territori goth doom catacombali, in cui il canto della vocalist si fa urlo belluino e poi mistica preghiera agli dei, la bellezza selvaggia di "Embers" implode in una deflagrazione interiore di doom, shoegaze e rabbiosa disperazione.

Chiudono i tamburi battenti di "Rite", abrasiva deriva blackgaze che semina terrore e colpisce in piena faccia, lasciando sulle labbra il sapore metallico del sangue.

Sorrows è l’esordio coi fiocchi di una band capace di sorpassare agilmente gli elementi distintivi del doom melodico, grazie a uno sguardo curioso attraverso il quale esplorare territori contigui, arricchendo così la proposta. Che più ampia sarà in futuro, più renderà suggestivo e appetibile un suono che, a ogni modo, già ci ha conquistato.