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REVIEWSLE RECENSIONI
07/03/2019
Millencolin
SOS
Tornano i Millencolin con “SOS”, un classico album di Skate Punk anni Novanta, nel quale aleggia lo spirito dei Bad Religion, ma che in realtà riserva anche qualche gustosa sorpresa.

Uno spettro si aggira per SOS, il nono album in studio degli svedesi Millencolin: lo spettro dei Bad Religion. Dopo un silenzio discografico lungo sette anni (quelli che hanno separato Machine 15 dal precedente True Brew), il combo di Örebro sembra averci preso gusto e dopo “soli” quattro anni è di nuovo in pista con SOS, sulla carta un classico album di Skate Punk anni Novanta, ma che in realtà riserva anche qualche gustosa sorpresa.

Registrato negli studi della band e prodotto in proprio da Nikola Sacrevic e Mathias Färm (con l’apparato grafico curato come al solito da Erik Ohlsson), SOS inizia alla grande con la title track, una Bad Religion kind of song fatta di chitarre, melodia e critica politica che sembra uscita dritta da Against the Grain: non male per una band che è in giro ormai da 27 anni.

Il resto delle 11 canzoni non si discosta molto da questo schema: del resto, i Millencolin, a partire da Pennybridge Pioneers (senza dubbio il loro lavoro migliore e giustamente il più celebrato), nel quale hanno lasciato definitivamente da parte ogni influenza Ska per abbracciare senza riserve un suono più californiano, hanno sempre fatto un Punk Rock di stampo classico. Ma ogni tanto, in SOS, accanto al tributo ai Ramones (“Do You Want War”), al Power Pop (“Sour Days”) e all’Hardcore melodico (“Trumpets & Poutine”), fanno capolino sonorità inedite, come il vocoder nel ritornello di “Yanny & Laurel” (che riprende uno dei meme più diffusi del 2018) e il sitar in “Yesterday”.

A essere severi, la ricetta per un buon album Punk Rock non prevede moltissimi elementi: chitarre, urla e sudore il più delle volte sembrano bastare. Più difficile è invecchiare bene, non sembrare patetici, insomma, essere ancora credibili e avere qualcosa da dire dopo tanti anni di carriera. Ascoltando SOS, non c’è dubbio che i Millencolin abbiano intrapreso la strada già segnata dai loro maestri Bad Religion e Descendents: narrare il presente con una chitarra in mano, con un occhio al parabrezza e l’altro allo specchietto retrovisore. Perché magari il meglio è passato, ma il bello deve ancora venire e non c’è niente di più gratificante che raccontarlo con una nuova canzone.