È un film di sottile intelligenza il Sotto le foglie di François Ozon. L’ultimo film del regista parigino gioca con il pubblico al quale chiede di porre attenzione a tutte le situazioni e a tutti i dialoghi per non essere ingannato e per colmare i vuoti lasciati ad arte dallo stesso regista nel corso della narrazione. Sotto le foglie può essere ascritto al genere del thriller, un thriller però mai troppo giocato sulla tensione, sul disvelamento dei fatti, sulla ricerca e sulla scoperta di un colpevole.
Quello di Ozon è un film sulla legge e sulla verità: sulla legge dell’uomo in contrapposizione alla legge morale, alla legge dell’animo, sulla verità dei fatti e sulle verità che ci raccontiamo e che raccontiamo agli altri (alla polizia per esempio) per preservare e proteggere felicità, serenità, desideri.
Sotto le foglie è anche un film di legami familiari con una rappresentazione degli affetti non convenzionale e lasciata, per alcuni snodi chiave, nel dubbio più totale, motivo più che sufficiente per considerare quest’opera di Ozon pienamente riuscita nella volontà di indagare situazioni e ambienti senza mai fornire risposte chiare, nemmeno quelle legate al dramma centrale di questo giallo totalmente atipico, un giallo “di provincia” dove anche le forze dell’ordine sembrano avere ritmi e sensibilità diverse da quelle che il genere solitamente impone.
Borgogna. L’anziana Michelle Giraud (Hélène Vincent) vive da sola nella sua grande casa di campagna. Michelle frequenta la chiesa del paese, cura il suo orto, fa lunghe passeggiate con la sua amica Marie-Claude (Josiane Balasko) con la quale va spesso a raccogliere funghi; ogni tanto la accompagna a trovare in carcere suo figlio Vincent (Pierre Lottin).
La donna vive nell’attesa delle visite dell’amato nipote Lucas (Garlan Erlos), un adolescente molto legato alla nonna la quale ha invece un rapporto molto difficile con sua figlia Valérie (Ludivine Sagnier), la madre di Lucas. Valérie sembra essere una donna molto materiale che pretende dalla madre costante aiuto economico, nonostante Michelle le abbia già lasciato la casa di Parigi nella quale Valérie risiede con il figlio.
Durante una visita di figlia e nipote nella casa di campagna, Valérie si sente male dopo aver mangiato dei funghi raccolti nei boschi proprio dalla madre. Essendo l’unica a essere finita in ospedale, la donna si convince di essere stata avvelenata di proposito dalla madre e la minaccia di non farle più vedere suo nipote Lucas.
Nel frattempo Vincent esce dal carcere e viene da Michelle aiutato a rimettersi in piedi: un lavoro ben retribuito nell’orto, un piccolo prestito per iniziare una nuova attività; così Vincent si propone di dare una mano a Michelle per ricucire i rapporti con la figlia e soprattutto far sì che possa tornare a vedere suo nipote. Purtroppo sembra che Vincent abbia una dote innata nel combinare disastri.
Sotto le foglie si muove con una calma apparente, quasi dimessa, ma costantemente tesa tra la quiete della vita di campagna e le fratture, sottili o profonde, che attraversano i legami familiari. Ozon gioca con l’incerto, non chiarisce, volutamente lascia più dubbi che certezze, sia nello sviluppo dei fatti sia nelle reali intenzioni dei protagonisti come nel caso dell’incidente dei funghi.
La trama gira intorno alla costruzione del concetto di famiglia, si aggrappa alle reti dei legami, gioca sull’ambiguità di alcuni protagonisti, in parte su quella di Michelle, molto su quella di Vincent, interpretato dall’ottimo e interessante Pierre Lottin, ma anche, soprattutto nel finale (attenzione), su quella del piccolo Lucas. A comandare c’è la morale di ognuno dei personaggi, non la legge, non il sangue, ma l’amore, l’affetto, l’amicizia, sentimenti forti tanto da piegare (forse) i fatti fino a far prevalere ad essi la forza dei sentimenti stessi.
Quello di Ozon è un incedere lento, minuzioso, avvolgente, basato su una sceneggiatura cesellata in maniera da poter arricchire di un altro tassello di valore il bel catalogo del miglior cinema d’oltralpe.

