Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
07/08/2018
Talk Talk
Spirit Of Eden
Quando ai piani alti della Emi - l'allora casa discografica dei Talk Talk - giunse il nastro contenente le registrazioni definitive di "Spirit Of Eden" (erano i primi mesi del 1988), le aspettative commerciali nei confronti del quarto album della band londinese erano altissime.
di Alessandro Menabue

Formatosi nel 1979, con i primi tre dischi il gruppo aveva goduto di fortune commerciali sempre crescenti grazie prima a singoli di matrice synth-pop come Today, Such a Shame, It's My Life e successivamente con brani più sofisticati come Life's What You Make It. Con "The Colour Of Spring", il loro terzo album del 1986, riuscirono ad accrescere ulteriormente il loro successo - fino a quel momento limitato all'Europa continentale - sfondando nelle classifiche britanniche e statunitensi. Il cielo a quel punto, era l'unico limite. C'era un solo dettaglio: la Emi e la band stavano ammirando due firmamenti diversi.

Così, mentre l'etichetta puntava alla contingenza (una rendita economica facile e il più rapida possibile), l'obiettivo dei Talk Talk era non esattamente a breve termine e decisamente più ambizioso: l'immortalità. Quella artistica naturalmente. Ben lungi dal condividere con i discografici le sue reali intenzioni, Mark Hollis (cantante, leader e principale compositore del gruppo) all'avvio delle registrazioni di "Spirit" chiese ed ottenne un budget aperto ed una totale autonomia artistica. Sia gli emissari della Emi che lo stesso manager della band non avrebbero dovuto in alcun modo interferire con il processo creativo, ergo non avrebbero mai potuto mettere piede nei Wessex Studios di Londra dove Hollis e i suoi compagni si rinchiusero a partire dal febbraio del 1987. La lavorazione del disco, all'insegna della completa improvvisazione, durò quasi un anno in un'atmosfera a dir poco bizzarra come ricorda l'ingegnere del suono Phill Brown (già al servizio di Traffic, Led Zeppelin, David Bowie e Cat Stevens): "Nello studio c'erano candele, lanterne, luci stroboscopiche, qualche volta il buio totale. Era una sensazione psichedelica e disorientante: nessuna luce esterna, nessun riferimento temporale". Alle registrazioni presero parte diversi musicisti esterni alla band - alcuni di estrazione classica - tra i quali vale la pena ricordare Robbie McIntosh (chitarrista dei Pretenders e poi di Paul McCartney), il bassista Danny Thompson (storico componente dei Pentangle) e il violinista Nigel Kennedy.

Torniamo al nastro: quando finalmente i papaveri della Emi ebbero modo di ascoltarlo, compresero che le loro aspettative - e i loro finanziamenti - erano stati a dir poco disattesi. Di più, quello che si profilava all'orizzonte era un vero e proprio suicidio commerciale, per di più palesemente meditato. I dirigenti della label tentarono di limitare i danni provando a convincere la band a portare l'album in tour e a pubblicare come singolo una versione breve (il brano originale dura sei minuti e mezzo) dell'eterea ballata I Believe in You, considerata la canzone più orecchiabile, se così si può dire. Ad entrambe le proposte Hollis oppose un piccato diniego; fu a quel punto che alla Emi si decise di agire d'autorità pubblicando come 45 giri una versione orrendamente mutilata di I Believe In You. Questa decisione, oltre ad acuire gli attriti con il gruppo e portando di fatto alla rottura del contratto con la label, si rivelò infruttuosa: a parte una fugace comparsa al numero 19 della classifica inglese, "Spirit Of Eden" fu completamente snobbato dal pubblico. Ben diverse furono le reazioni di buona parte della critica; fu riconosciuto ai Talk Talk il merito di avere pubblicato un album che chiudeva radicalmente i ponti con il loro passato per catapultare la loro musica in territori inusuali, non solo per la band ma per l'intera scena pop-rock degli anni 80. In effetti il disco per quell'epoca rappresentava una sberla in pieno volto alle mode e alle tendenze di quegli anni.

L'apertura dell'album, con il brano The Rainbow, è affidata ad una tromba, un esile tremolio d'archi, un piano, una chitarra distorta ed un organo che, dopo avere accennato una melodia evanescente, trascinano l'ascoltatore in un inquietante silenzio rotto da brusii, echi di variophon e dal suono di uno shozyg, bizzarro strumento inventato dal compositore Hugh Davies. Un silenzio che viene improvvisamente interrotto dal ruvido ingresso di una slide guitar che accompagna il solo di un'armonica straziante. C'è, in questo passaggio, una sensazione di morte e di rinascita, come se la cacofonia musicale di quegli anni implodesse per poi deflagrare in un big bang dove blues, psichedelia, Canterbury sound e jazz danno vita all'anarchico impasto sonoro che permea le sei tracce di "Spirit Of Eden". A distanza di trent'anni dalla sua pubblicazione, il disco resta una pietra miliare dell'intera storia del rock che ha profondamente influenzato l'opera di band come Radiohead e l'intera scena post-rock. Quanto ai Talk Talk, la parabola discografica della band si sarebbe interrotta nel 1991 con la pubblicazione di un ultimo capolavoro, "The Laughing Stock". Da quel momento, con la sola eccezione di un ottimo album solista nel 1998, Mark Hollis ha fatto perdere le sue tracce e forse è stato meglio così. L'immortalità musicale i Talk Talk l'hanno infine conquistata: ora siedono lassù, nell'Olimpo del Rock, tra i Pink Floyd e i Soft Machine. Perché aggiungere nuovi capitoli ad una storia che ha già un finale perfetto?