Era da qualche anno che non partecipavo al Barezzi Festival, un'assenza dovuta più ad impedimenti logistici che a mancanza di vero interesse: del resto la rassegna parmense, dedicata al celebre mecenate che lanciò la carriera di Giuseppe Verdi, ha sempre vantato una programmazione di altissimo livello, tra nomi emergenti e realtà già consolidate, con il valore aggiunto di una location, il Teatro Regio, che pesa decisamente sulla qualità delle singole performance.
Programmazione vasta anche quest'anno, con i Mùm, tra i gruppi più rappresentativi della scena islandese, il ritorno sempre gradito dei King Hannah, Tom Smith degli Editors a presentare il suo esordio solista in uscita a dicembre, la cantautrice austriaca Soap&Skin, tornata sulle scene lo scorso anno dopo un silenzio piuttosto lungo, e poi lo show d'eccezione degli Spiritualized, che sono da poco passati dalle nostre parti nel contesto de La Prima Estate, ma che essendo alquanto restii ad esibirsi dal vivo, vanno presi sempre, senza troppe esitazioni. E poi impossibile non nominare Micah P. Hinson, cantautore texano che si esibirà domenica ma che il sottoscritto vedrà un paio di giorni dopo a Milano.
Avrei dovuto essere presente al concerto dei King Hannah, che personalmente non vedevo dal vivo dall'estate scorsa, ma impegni lavorativi dell'ultimo momento hanno fatto sì che me li perdessi per l'ennesima volta.
Mi accontento dunque della serata del sabato, conscio ad ogni modo che, per la qualità del luogo e dell'atmosfera, anche per un solo giorno vale la pena affrontare il viaggio.
Anja Franziska Plaschg mancava dalle scene da parecchio tempo, almeno con musica sua. Lo scorso anno era tornata con una colonna sonora, per il film Des Teufels Bad di Veronica Franz e Severin Fiala, ma di fatto un disco vero e proprio a nome Soap&Skin era atteso dal 2018. Torso, uscito esattamente un anno fa, ha solo parzialmente colmato il vuoto, visto che si trattava di un lavoro interamente composto di cover, seppure rese con intelligenza e personalità.
Arriva in Italia per la seconda volta quest'anno, dopo che la si era già vista a Milano questa primavera. Lo spettacolo, a quanto mi ha riferito chi c'era, è identico, anche se ovviamente impreziosito da una location fantastica come quella del Regio (durante i saluti finali è stato divertente osservare come anche i musicisti si guardassero attorno, estasiati dal colpo d'occhio).
Si parte con una scarna e spettrale “The End”, il classico dei Doors che Anja esegue da sola al piano, e che dura otto minuti abbondanti, senza disdegnare cambi di intensità e variazioni di registro che la rendono immediatamente una delle cose più belle dell'esibizione.
Dopodiché, accompagnata da un quartetto cameristico (un violino, un violoncello e due trombe) si esibisce in un set che alterna i brani di Torso ad alcune delle sue cose soliste. L'effetto sarebbe splendido sulla carta ma purtroppo risulta riuscito solo a metà: l'utilizzo spesso cospicuo di basi e backing track varie (a cosa serve, quando hai a disposizione musicisti del genere?) rovina diverse esecuzioni, anche per la scelta non molto riuscita di unire gli arrangiamenti orchestrali a elementi elettronici che sono risultati quanto meno ridondanti.
Peccato, perché poi alcune cose sono bellissime, come la “Mistery of Love” di Sufjan Stevens, la “Johnsburg, Illinois” di waitsiana memoria, un'intensa “God Yu Tekem Laef Blong Mi” (dalla colonna sonora de La sottile linea rossa di Terrence Malick) oppure, su tutte, “Star” di Janis Ian, suonata nei bis, in piano solo con alcuni sporadici interventi di archi, veramente eccezionale per intensità comunicativa.
Altrove ci sono momenti sfortunati, come una “Pale Blue Eyes” eseguita in versione karaoke (voce e base orchestrale, davvero inspiegabile perché non l'abbia fatta dal vivo) o una bowiana “Girl Loves Me” eccessivamente trattata con l'elettronica.
Rimangono ottime versioni di brani suoi come “Italy” (immancabile in questo contesto), “Vater”, cantata in tedesco, e “The Sun”, che non cancellano purtroppo l'impressione di un insieme nel complesso troppo altalenante.
Appuntamento al prossimo disco, nella speranza che esca presto e che con il nuovo live arrivino scelte maggiormente oculate.
Lasciamo il teatro per una cena veloce e poi dentro di nuovo, dal momento che l'inizio dello show degli Spiritualized è previsto per le 21 in punto. Jason Pierce e compagni arrivano di nuovo in Italia dopo il passaggio di quest'estate a Lido di Camaiore e, siccome me li ero persi, sono ben contento di recuperare ora, visto che tra una cosa e l'altra non li vedo dal 2019.
La band britannica ha girato quest'anno proponendo per intero Pure Phase, tra i suoi dischi più apprezzati, in occasione del trentennale dell'uscita. Purtroppo a noi non è toccato: a giugno hanno optato per una scaletta di classici e brani più recenti, mentre qui a Parma iniziano con la lunga ed ipnotica “Cop Shoot Cop” (versione maiuscola, anche se purtroppo più breve di quella registrata in studio) che lascia presagire scelte differenti, confermate dalle due tracce successive: la rockeggiante “She Kissed Me (It Felt Like a Hit)” e lo splendido Spiritual in crescendo di “Shine a Light”. Sul palco sono in nove (ci sono anche tre coriste, indispensabili nel sottolineare i momenti più lirici e aperti) e come sempre si dimostrano dei maestri nell'impasto sonoro e nella gestione delle dinamiche. I brani sono come sempre minimali nella struttura melodica, basici nei temi proposti, che attingono indifferentemente dal rock o dal Gospel, ma che vengono poi trattati da una stratificazione di chitarre e Synth, a creare un wall of sound invalicabile e irresistibile.
Le luci, sempre bassissime e di colorazione cangiante, dal blu, al giallo, al rosso, contribuiscono a creare un'atmosfera sospesa e magnetica, con l'eleganza delle architetture del teatro a fare il resto. In poche parole, la band si trova nelle condizioni ideali per potere esprimere tutto il proprio carico di bellezza e non si risparmia, con Jason Pierce che, apparentemente noncurante dietro i suoi occhiali da sole, defilato sul lato destro del palco e con il solito leggio perennemente davanti, manco fosse un liceale al suo primo saggio di musica, dispensa emozioni con la sua voce e la sua chitarra, direttore di un'orchestra atipica e straordinariamente rodata.
La setlist è piena di momenti emozionanti, dalla “Born Never Asked” di Laurie Anderson (questa sì che arriva da Pure Phase), alla psichedelia tenue di “Electric Mainline”, alle progressioni dolcissime di “Let It Flow”, fino alle più recenti “Damaged” e “Sail on Trough”, e allo strepitoso finale di “So Long You Pretty Thing”, col carico emozionale che raggiunge il suo apice.
Dura un'ora e mezza ma non basta ad appagare il pubblico che, niente affatto contrariato ma comunque insistente, li chiama e li richiama per diversi minuti anche quando, sipario chiuso e luci accese, è evidente che non torneranno più.
Vero che uno o due brani in più non avrebbero fatto male, ma altrettanto vero che è stato talmente intenso che ce lo possiamo fare bastare senza troppi problemi.
Ennesimo grande concerto degli Spiritualized, ennesimo trionfo per il Barezzi. Ci vediamo l'anno prossimo, con la speranza di riuscire a fare anche più di una serata.

