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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
25/07/2017
Sylvester (James)
Spranga il macchinista o canta in falsetto?
Ma l’Italia evidentemente dava Sylvester per morto, non concepiva l’eventualità di abbandonare il cliché del punk che essa aveva fatto così fatica a accettare...
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Fra maggio e giugno 1978 a Milano si poteva essere un bersaglio intellettuale (solo apparentemente musicale) che era a rischio soccombenza. Sconfitti si sarebbe finiti come molti altri, la maggioranza, appunto.

La radio in FM dichiarava Rolling Stones (“Miss You”) e nel ghetto fuggevole della discoteca (la dance culture la massa non la conosceva[1]) una voce in falsetto che non avrebbe dovuto avere futuro: Sylvester con “You Make Me Feel (Mighty Real)”[2].

Poi c’era la stampa musicale britannica: lì stava il mezzo gimmick del quinto singolo dei Sex (già ex?) Pistols, che doveva intitolarsi appunto “Cosh The Driver” salvo un ripiego su due titoli diversi, ma anche il pivotale quinto singolo ufficiale di The Clash, con copertina (o senza? Decidete voi)[3] e di nuovo una parte del titolo fra parentesi, e poi stava arrivando tutto il “dopo-/növo-” che sarebbe stato digerito (ma non assimilato) molti anni dopo.

Le orecchie a Londra avrebbero continuato a macinare reggae nei locali prima dei concerti, anche se la stagione del Roxy con Don Letts come DJ era finita.

Diciotto mesi dopo chi aveva abbastanza personalità aveva già lasciato le categorie della politica musicale (“the politics of dancing” recita una vecchia canzone), anche perché nemmeno gli USA erano stati con gli allori a seccarsi: No New York insegna.

Diventa da allora in poi impossibile tentare una qualsiasi classificazione. Per fortuna.

Passati anche gli eroi da club[4], ecco l’aria che davvero tirava quando nel settembre del 1982 The Face usci con la famosa copertina nella quale persino dei jeans blu potevano essere un capo di nuovo capace di parlare per chi li indossava[5].

Ma l’Italia evidentemente dava Sylvester per morto, non concepiva l’eventualità di abbandonare il cliché del punk che essa aveva fatto così fatica a accettare, mentre fra oratori e sezioni di partito non c’era spazio per un “fuck art let’s dance” che era comunque un’espressione individuale e che, udite udite, era anche una categoria di umano divertimento dove non si discriminavano gli omosessuali (e neanche gli eterosessuali, perché no) anche se magari qualche locale non era esattamente una bocciofila.

Purtroppo, una grande malattia dal piccolo nome avrebbe nel giro di qualche anno ucciso l’unicità vocale di Sylvester, che sarebbe così andato a raggiungere il suo sodale di qualche avventura alle porte dell’elettronica Patrick Cowley (morto nel 1982).

Ma per noi alla fine ha vinto il falsetto sulla spranga.

 

[1] Illuminante in punto è “Indigestione disko” dei Decibel.

[2] Si noti la curiosa inversione della parte fra parentesi rispetto ai titoli di alcuni classici degli anni sessanta. Storcerà il naso qualche purista sapendo che in una sua top ten radiofonica Siouxsie inserì questa canzone. I ben informati sanno che Mrs. Ballion ballava al Bangs, al Chaguaramas e al El Sombrero.

[3] Tutte informazioni rinvenibili altrove.

[4] “Out in clubland and having fun”…

[5] Per chi non possiede quel numero, una seconda possibilità di leggere l’articolo di Robert Elms intitolato “The New Young Soul Rebel” risiede nel volume Nightfever (a cura di Richard Benson) a pagina 26, ma senza immagini.