Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
MAKING MOVIESAL CINEMA
Stalker
Andrej Arsen'evic Tarkovskij
1979  (CIDIF)
FANTASCIENZA
all MAKING MOVIES
20/04/2020
Andrej Arsen'evic Tarkovskij
Stalker
Domande. Riflessioni. Alte, altissime, sull'uomo, sulla vita. Tutto nella Zona sembra fermo, i ritmi di Tarkovskij sono dilatati, rifuggono la rapidità, l'incedere è avvolgente, riflessivo, le inquadrature sono quadri su un panorama devastato, su una natura che pezzo dopo pezzo tenta di riprendersi ciò che l'uomo ha corrotto...

Stalker è un viaggio, concreto e misterioso per i tre protagonisti del film, un percorso che diviene in larga parte introspettivo per ognuno di loro così come per lo spettatore, chiamato a compiere un excursus metafisico all'interno di quest'opera ostica ma anche di altissimo valore del regista russo Andrej Tarkovskij. A più riprese considerato come uno dei grandi esiti dell'arte cinematografica, Stalker è uno di quei film che richiedono un impegno non indifferente, un'attenzione immersiva e totalizzante che sembra venir ripagata fino in fondo soltanto a visione conclusa, o ancor meglio il giorno dopo o quello dopo ancora, dopo un paio di notti di sonno e diverse riflessioni su immagini, suoni e dialoghi. Tarkovskij riesce nel compito di creare un film di fantascienza con tanto di accumuli di tensione, suspense e mistero senza far ricorso a un solo effetto speciale, lavorando con inquadrature altamente suggestive, giocando con i colori e il bianco e nero, con la fotografia ficcante di Aleksandr Kniažinskij, con i suoni e con paesaggi post industriali che sembrano arrivare da una realtà del dopo bomba (quella atomica), ambienti scovati in alcune location sovietiche e che pare abbiano lasciato più d'un segno di malattia in diversi membri della troupe a causa dell'inquinamento chimico dei luoghi scelti per le riprese.

Da qualche parte in Russia c'è un luogo dove si dice sia caduto un meteorite o dove si è verificato un qualcosa di inspiegabile, le voci si rincorrono ma sempre più si diffonde la credenza che al centro della Zona, così viene chiamata quest'area inavvicinabile, si trovi una stanza dove le persone possono esprimere il loro desiderio più intimo e vederlo realizzato. L'area è ovviamente sorvegliata da guardie armate dello Stato, gli stalker sono delle persone che conoscono la Zona e si offrono di fare da guida e di introdurre illegalmente nell'area chi volesse mettersi alla ricerca della famosa stanza. Uno di questi stalker (Aleksandr Kajdanovskij), contro il parere della moglie (Alisa Frejndlich) organizza una nuova spedizione nella Zona per accompagnare un professore (Mykola Hrin'ko) interessato a scoprire e studiare i segreti della Zona e uno scrittore (Anatolij Solonicyn) alla ricerca di una nuova fonte di ispirazione. Ma sebbene una volta penetrati nella Zona la meta da raggiungere apparentemente non sembri lontana, la strada da percorrere non è mai diretta, lo stalker sa che la via non è mai la stessa e quella che sembra una distanza facilmente colmabile potrebbe rivelarsi piena di insidie ma soprattutto colma di dubbi, riflessioni e domande. La Zona non accetta ciò che è facile, non accetta una retta che unisca i punti A e B, non accetta armi, non accetta colpi di testa, questo uno stalker lo sa... ma chi sa cosa sa davvero uno stalker? Quali pericoli sono reali? Qual è lo scopo del viaggio? Cosa è dettato solo dalla paura? Quale la strada da seguire? Come trovare le risposte? In cosa credere? Che cosa ha veramente importanza?

Domande. Riflessioni. Alte, altissime, sull'uomo, sulla vita. Tutto nella Zona sembra fermo, i ritmi di Tarkovskij sono dilatati, rifuggono la rapidità, l'incedere è avvolgente, riflessivo, le inquadrature sono quadri su un panorama devastato, su una natura che pezzo dopo pezzo tenta di riprendersi ciò che l'uomo ha corrotto, emblematica la visione sulle rovine degli armamenti inghiottiti dal verde. Si rincorrono gli specchi d'acqua, putrida, contaminata, che spesso cela l'umana bruttura che nel corso del film diventa tutta interiore, di un'umanità che incarna desideri piccoli, meschini, che ha smesso di credere nei valori più puri dell'uomo ma anche e soprattutto in qualcosa di oltre l'umano e di più grande. L'approccio dell'uomo alla Zona, alla vita, è di totale nichilismo, una disillusione ben rappresentata in più momenti dalle parole dello scrittore che non riesce più nemmeno a trovare motivi validi per tornare alla sua arte, perché l'ispirazione è perduta, perché lui, in quanto esponente della razza umana è ormai irrimediabilmente inaridito. E anche chi come il professore è in cerca di qualche verità la troverà mutevole, incerta, finanche temibile e pericolosa tanto da volerla distruggere per una sfiducia diffusa nei confronti dei propri simili; solo lo stalker sa qual è il suo posto nella Zona, qual è la sua importanza, perché fuori da lì non è rimasto nulla. È la stanza cos'è? Un dono? Un messaggio? Da parte di chi? Per chi? Forse per i deboli, perché "la debolezza è potenza, la forza e la rigidità appartengono al campo della morte".

Si rimane di fronte al mistero della stanza, dopo questo lungo viaggio, a farsi domande, a cercare risposte. Chi di noi avrà il coraggio di andare fino in fondo?


TAGS: cinema | DarioLopez | loudd | Stalker