Agli inizi degli anni Cinquanta Vittorio De Sica è nel pieno della sua epoca d'oro, il regista campano (nato nel frusinate in una Sora all'epoca campana) inanellava capolavori su capolavori. Tra la fine del decennio precedente e la metà dei Cinquanta De Sica contribuisce ad accrescere la stima per il cinema italiano in tutto il mondo con titoli come Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1952), L'oro di Napoli (1953) e a fine decennio con La ciociara (1960) confermandosi uno degli autori di punta del Neorealismo italiano.
Nel 1953, anno d'uscita di questo Stazione Termini, infila un altro grandissimo successo nel ruolo d'attore interpretando la parte del maresciallo Antonio Carotenuto in Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini che avrà poi diversi seguiti. Proprio grazie a questa vena d'ispirazione all'apparenza irrefrenabile De Sica viene contattato per una produzione internazionale: ampio budget garantito dal produttore David O. Selznick (È nata una stella, Via col vento, Notorius e altri Hitchcock notissimi), attori internazionali come Montgomery Clift e Jennifer Jones (spinta da Selznick di cui era la compagna) e italiani già noti (Gino Cervi, Paolo Stoppa, Gigi Reder). Un'esperienza diversa, che porterà il regista su strade meno abituali di quelle finora percorse per un film dove solo sul finale si potrà ammirare un po' di quel tocco neorealista così apprezzato di De Sica, qui stemperato in un melodramma ad ambientazione unica (la stazione Termini appunto) che non rende piena giustizia al vero talento affabulatorio di uno dei nostri massimi autori cinematografici.
Mary Forbes (Jennifer Jones) è una bella donna statunitense a Roma per far visita alla sorella e al nipote Paul (Richard Beymer). Durante il soggiorno in Italia la donna ha conosciuto l'insegnante Giovanni Doria (Montgomery Clift) innamorandosene e iniziando con lui una relazione extraconiugale, la donna a Filadelfia ha infatti un marito ad attenderla ed è madre di una piccola bambina. Presa dal rimorso Mary prenota in fretta e furia un treno per Parigi da dove potrà prendere un aereo per tornare a casa, la donna però viene raggiunta alla stazione Termini dall'amato Giovanni che tenta in tutti i modi di convincerla a non partire facendo leva sui sentimenti reciproci e su quell'amore travolgente che c'è stato tra i due. Alla stazione c'è anche per caso il nipote Paul che assisterà a questo strano e inconfessabile rapporto tra i due, compresa una scena madre che rischierà di portare il tutto alla luce del sole. Purtroppo, la verità verrà fuori in maniera decisamente più rischiosa, in un paese e in un'epoca in cui alcuni comportamenti non erano ancora tollerati dalla società.
Nel 1953 in Italia l'adulterio era ancora reato perseguibile dalla legge con tutte le conseguenze del caso, soprattutto per le donne, giudicate da una società maschilista più di quella odierna e sbugiardate agli occhi di mariti e figli, bollate come donnacce e magari rovinate per gli anni a seguire. Da questo assunto il punto più interessante del film, che a dire il vero è qui solo accennato nella parte finale di Stazione Termini, il film per altri versi si perde in una storia su un rapporto sentimentale illecito e di scarso interesse.
Purtroppo, dispiace sempre dirlo, qui la mano di De Sica si perde in un approccio che probabilmente il regista non ha sentito suo fino in fondo, costretto nelle gabbie di una produzione internazionale che non gli ha permesso di esprimersi in totale libertà e vincolato anche dalla presenza di star internazionali che non erano certo il piccolo Bruno (Enzo Staiola) di Ladri di biciclette o il Carlo Battisti di Umberto D., tutta un'altra musica da gestire.
Nonostante il connubio con Zavattini alla sceneggiatura con il quale De Sica aveva siglato praticamente tutti i successi di cui sopra, Stazione Termini rimane un episodio poco sapido nella filmografia del regista, anche le prove di Montgomery Clift e della Jones non possono dirsi memorabili contribuendo a far affievolire la curiosità per questo De Sica "hollywoodiano" nonostante l'ambientazione romana.
La bravura del regista si vede nella gestione delle scene in una location dove non dev'essere stato semplice girare, nell'impossibilità di bloccare la stazione si sono sfruttate le ore serali riuscendo sempre e comunque a dare quel senso caotico di via vai che la stazione richiedeva; il film in sé si può guardare ma con in mente i grandi successi del Nostro un pizzico di delusione è inevitabile. Per chi non conosce i lavori di De Sica diciamo che non si consiglia di avvicinare l'opera di quello che è stato un vero maestro con Stazione Termini, magari dopo aver visto altro o per mero completismo allora si potrà approcciare anche questo film, l'importante è non aspettarsi un capo d'opera che qui non si troverà.