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REVIEWSLE RECENSIONI
08/12/2025
Still Blank
Still Blank
Nati senza un nome, arrivano con un album che ha già tutto.

Non c’è modo migliore di inaugurare una carriera musicale che un album s/t. Il concept più credibile e calzante per mettere da subito le cose in chiaro e dare inizio a (si spera) una lunga vita di successi, è quello dedicato a se stessi. Chi siamo, dove andiamo, cosa suoniamo e perché lo facciamo. Questo è ciò che mi piace sentirmi dire, da una band agli esordi. Il focus va giustamente sull’esistenza del progetto in sé. Poi, per pensare a riferimenti altisonanti in grado di contenere ben altri messaggi, c’è tutto il tempo, a maggior ragione se il gruppo ha scelto di chiamarsi Still Blank (ancora vuoto) ma, per tutta una serie di ottimi motivi sui quali vale la pena di fermarsi a riflettere, già sufficientemente pieno. 

Still Blank, dicevamo. Un nome che, come sostengono Jordy Fleming da Kauai, Hawaii, e Ben Kirkland da Manchester, Regno Unito, rispettivamente voce/strumenti vari e cori/chitarra nonché soci fondatori del gruppo di stanza a Liverpool, non esisteva nemmeno mentre l’omonimo disco di debutto prendeva corpo in studio di registrazione, traccia dopo traccia. Chissà, forse il placeholder di un box di testo di un qualche form da compilare che, al momento decisivo, è stato confermato. Still Blank. Lasciamolo così, si saranno detti.

 

Il primo aspetto di Still Blank (nel senso del disco) che lascia piacevolmente il segno è la totale assenza di riff forzati e piacioni di chitarra come elemento identificativo volto a caratterizzare i brani, il che è straordinario (ne avrebbero tutto il diritto) per un album di chiara matrice rock - con tutte le sottocategorie e declinazioni del caso - e fortemente chitarristico. Ci sono solo sequenze di accordi e arpeggi (acustici ed elettrici) a introdurre le canzoni e a riproporsi lungo il corpo dei brani. Nonostante ciò, o forse proprio grazie a questo, il disco riserva una sorpresa dopo l’altra e non risulta mai inutilmente ridondante. 

Il secondo, una vera rarità, è che le dieci tracce che si susseguono nell’album sembrano costruite secondo strutture compositive che rasentano la perfezione. Giri armonici come quelli potrebbero trasmettere ordinarietà se non intervenissero cambi provvidenziali nel loro alternarsi a salvare la situazione, a movimentare l’andamento, a sferrare colpi emotivi, a farci precipitare in vuoti per poi lanciarci una fune di salvezza, a mettere l’ascoltatore di fronte a svolte repentine, a farci viaggiare coast to coast ma non proprio presenti a noi stessi, ad allestire, tassello dopo tassello, certe simmetrie in grado di completare l’opera con la coerenza che merita e farci atterrare soddisfatti nel meritato silenzio al termine di ciascun brano, in attesa del successivo. 

Il tutto in un contesto volutamente scarno e viscerale, tra lo shoegaze, il dream pop, il post-punk e diversi ammiccamenti alt country compensati da più di un’impennata post-grunge decisamente mozzafiato. Un genere che lascerebbe il tempo che trova, nella babele di sperimentazioni e conseguente e paradossale omologazione a cui siamo esposti, se non fosse per l’incantevole vocalità di Jordy Fleming. Un talento fuori dal comune, un timbro aumentato da inequivocabili e graffianti venature blues che permettono agli Still Blank (nel senso del gruppo) di prendere le distanze dai canoni e dai cliché dell’indie rock standard e di distinguersi diverse spanne sopra l’affollato panorama musicale da cui provengono.

 

Se poi vogliamo scendere nei dettagli, possiamo parlare di quel capolavoro di figaggine che è “What About Jane”, la traccia numero uno. Still Blank (nel senso del disco) comincia così, con una qualità che uno pensa che sia impossibile da mantenere fino alla fine (e invece). Pennate decise di chitarra acustica, presto doppiate da una gemella elettrica, l’attacco da brivido della linea vocale, l’eco di una seconda chitarra in risposta al canto, la batteria che si accende senza dare nell’occhio, e via così fino a quando, dopo due minuti, la stessa canzone, che una sensibilità non all’altezza potrebbe far ripartire da capo, considerato il materiale già messo a disposizione, concepita in questo contesto invece si ribella, prende una direzione imprevista, si apre come se gli dei del pop avessero stabilito un destino opposto a quello di partenza, per una resa formidabile.

Non smentisce nemmeno la successiva “Ain’t Quite Right”. I BPM aumentano, trascinati dal tenace pattern di batteria, ma l’approccio dei musicisti resta inalterato. In “Dead & Gone” il sound si svuota, a vantaggio del gioco di controcanto femminile del ritornello che risalta in tutta la sua bellezza e degli effetti della chitarra che spingono la composizione fino all’estasi finale. Il contrasto con la ruvidezza di “Get Over It” si percepisce sin dalle prime note, mentre il temperamento serafico di “Sundown Dialogue” gioca perfettamente il suo ruolo di depotenziamento della carica elettrica con cui il disco sembra volutamente concepito. 

Si riparte con l’atmosfera post-punk di “Same Sun” e la band torna a metterci su di giri. Due accordi che si alternano nella massima semplicità fino alla detonazione del ritornello, per un cambio di rotta senza ritorno. “Vacancy” e “Denial”, messe lì, risaltano per la loro ricercatezza melodica e la delicatezza degli arrangiamenti, una coppia di rare perle dream pop. E a questo punto del disco, mancano poco più di sei minuti alla fine, in piena fase di recupero attivo, non si torna più indietro. La band ci saluta con due ballad dal carattere non del tutto simile, lasciando a noi il compito di scegliere tra il laconico indie rock di “Cut Slack” e l’etereo alt country di “Rainman”.

 

Plasmato tra le mura dello scantinato di Jordy Fleming e rifinito attraverso gli studi dei produttori Joel Pott e Mark Ellis (alias Flood) tra Londra, il Galles e Los Angeles, Still Blank (nel senso del disco) si afferma per la vivace compresenza di melodie suadenti emancipate da solide fondamenta musicali, che ne fanno probabilmente l’ultima importante pubblicazione del 2025. Correte subito a mettere mano alle vostre classifiche di fine anno, io l’ho appena fatto. E non sentitevi in colpa, è un ripensamento di cui sono certo valga la pena.